Card. Raï a Riyadh: non bloccate l’import di prodotti agricoli libanesi

L’Arabia Saudita ha sospeso le importazioni in seguito al ritrovamento di anfetamine in un carico di melograni. Oltre il 50% del mercato agricolo del Paese dei cedri è diretto verso nazioni arabe. Anche il muftì della Repubblica si unisce all’appello del porporato. Timori per i contraccolpi sull’economia.


Beirut (AsiaNews/Agenzie) - Il bando alle importazioni di prodotti libanesi - frutta e legumi - deciso dall’Arabia Saudita preoccupa il patriarca maronita, che ieri ha incontrato il presidente della Repubblica per discutere di questo e altri temi, in primis la crisi politica legata alla formazione del governo. Il blocco imposto il 23 aprile scorso da Riyadh, in seguito al ritrovamento di pillole di Captagon (anfetamina) all’interno di un container di melograni, rischia di mettere in ginocchio il settore agricolo del Paese dato che oltre la metà della produzione è destinata a nazioni arabe. 

Nella dimora ufficiale del capo dello Stato a Baabda, il card. Beshara Raï e Michel Aoun hanno discusso il tema della povertà, che oggi riguarda gran parte della popolazione libanese; un altro segnale “dell’affondamento” del Libano è legato alla scomparsa “della classe media” che un tempo era il pilastro che reggeva le sorti della nazione a livello economico e commerciale. 

Il primate maronita ha poi affrontato l’ultimo scandalo in ordine di tempo che rischia di aggravare ancor più le sorti di uno Stato già in grave difficoltà. Il riferimento è alla sospensione delle importazioni attuata da Riyadh, in un contesto già complicato. Contrabbando delle merci e traffico di droga (cinque milioni le pillole scoperte dalle autorità doganali saudite), sottolinea il card. Raï, “sfigurano l’immagine del Libano” mentre gli agricoltori sono “le grandi vittime” di questa nuova emergenza alimentata da mancati controlli alle frontiere. 

“Il Libano - ha detto il porporato - è diventato il punto di passaggio della droga e del Captagon verso il Golfo, via Arabia Saudita, che per questo ci ha chiuso le porte in faccia”. Il leader cristiano punta il dito contro i servizi di sicurezza dello Stato, che sono i primi responsabili del controllo di questo tipo di traffico. Il Paese dei cedri, ha poi aggiunto, “non può diventare un centro del contrabbando, e le sue frontiere orientali e settentrionali [con la Siria] restare così aperte”.

Antoine Hoyek, presidente del sindacato degli agricoltori, punta il dito contro le autorità che “avrebbero dovuto reagire in modo ben più rapido” e fornire all’Arabia Saudita “tutte le garanzie richieste, per riprendere le importazioni”. Egli aggiunge che “il 55% delle nostre esportazioni rischia di essere affetto dalla decisione di Riyadh. Le esportazioni verso i Paesi arabi ammontano a 92 milioni di dollari all’anno. Se dovessero interrompersi - conclude - ciò equivarrebbe a una perdita di 250mila dollari al giorno”. 

Ibrahim Tarchichi, presidente della federazione agricoltori della Békaa, insiste sul fatto che i melograni sequestrati in Arabia Saudita non vengono dal Libano, ma dalla Siria perché “non è stagione in Libano e comunque non abbiamo mai esportato questo frutto”. L’emittente televisiva al-Arabiya ha riferito che la droga giunta in Libano ha lasciato senza ispezioni il Paese perché il porto di Beirut - ancora in pieno caos dopo la doppia esplosione di agosto - non è dotato di scanner. 

Considerate le gravi ripercussioni legate alla decisione saudita, il patriarca Beshara Raï e il mufti della Repubblica Abdellatif Deriane hanno chiesto al regno wahhabita di non congelare le importazioni di prodotti libanesi. “Abbiamo anche espresso l’auspicio - ha detto il porporato - che il regno tenga conto della situazione del Libano e degli agricoltori onesti”. A conclusione dell’incontro con un gruppo di contadini, il primate maronita ha anche invitato le autorità libanesi a “preservare le sue amicizie con i Paesi arabi, in particolare l’Arabia Saudita che adotta sempre posizioni e iniziative a sostegno del Libano”.