Ebrei e palestinesi di Neve Shalom uniti contro la guerra tra Gaza e Tel Aviv
di Rita Boulos *

Dalla Terra Santa dilaniata dalla nuova fiammata di guerra la testimonianza di Rita Boulos, sindaco del villaggio dove un gruppo di famiglie di entrambi i popoli convivono in condizione di parità: "Siamo inorriditi dalla morte di persone innocenti che pagano il prezzo di fallimenti politici, educativi e morali". 


Tel Aviv (AsiaNews) – Vivono insieme in pace da quasi 50 anni in condizione di reale parità. Ma a non più di una decina di chilometri dalle loro case, nelle città israeliane di Lod e Ramle, vedono in queste ore esplodere la violenza tra i concittadini ebrei e arabi. Rita Boulos, sindaco del villaggio di Neve Shalom-Wahat al Salam, l' “oasi di pace” creata nel 1972 dal domenicano padre Bruno Hussar per dare un esempio della convivenza possibile tra i due popoli in Terra Santa, racconta in un messaggio l'esperienza di queste ore segnate dalla nuova gravissima fiammata del conflitto che divide anche al suo interno Israele. Il villaggio bilingue di Neve Shalom-Wahat al Salam, si trova in Israele poco lontano dall'abbazia di Latrun. Secondo l'intuizione di padre Hussar - grande profeta della riconciliazione tra arabi ed ebrei, scomparso nel 1996 - vi abitano un numero uguale di famiglie di entrambi i popoli che ne condividono ogni scelta. Non è un luogo isolato dove il conflitto non entra, ma un posto dove tanto gli arabi quanto gli ebrei provano a farsene carico insieme. Fiore all'occhiello di questa esperienza è la scuola, frequentata anche da ragazzi di villaggi vicini: segue la stessa filosofia di una convivenza pacifica possibile tra i due popoli, a partire dalla condivisione della terra e delle responsabilità. Anche a Neve Shalom-Wahat al Salam in queste ore si vivono la paura per la guerra e le domande sulle sue vere cause. Rita Boulos lo spiega, indicando i "fallimenti politici, educativi e morali" delle leadership dei due popoli come ragioni profonde di tensioni lasciate crescere che "non potevano non esplodere", e ribadendo la scelta del villaggio di continuare "a svolgere il proprio ruolo nell'educazione alla pace".

Le nostre istituzioni educative sono chiuse oggi per ordinanza del governo, come in tutte le aree che in questi giorni sono state interessate dal lancio dei missili. Nel villaggio non siamo stati colpiti in modo diretto, ma abbiamo sentito le sirene dalle città vicine. Il fatto che non siamo stati colpiti non significa che non siamo spaventati: tutti noi abbiamo dei nostri cari che vivono in posti colpiti. Per esempio mia madre, mia sorella, mio fratello e altri parenti vivono a Lod.

Accanto al dolore immediato e alla paura per i nostri cari, ciascuno nel villaggio è arrabbiato e rattristato da questa nuova esplosione di violenza. Tutto il nostro lavoro mira a risvegliare la speranza di un futuro migliore, con più uguaglianza, pace e sicurezza per gli ebrei e per i palestinesi, dovunque vivano. Quanto sta accadendo dimostra la rabbia e la disperazione della gente che vive in una situazione intollerabile. Dimostra la mancanza di preoccupazione e di volontà politica di un cambiamento da parte dei leader. Evidenzia come il razzismo e l'odio stiano prevalendo sul terreno.

Siamo inorriditi per la morte di persone innocenti, come le tre vittime di Lod, che così spesso pagano il prezzo di questi fallimenti politici, educativi e morali. E le cronache piene di pregiudizi a senso unico attraverso cui gli eventi sono raccontati fanno solo crescere il livello di violenza e la sete di vendetta.

La scorsa notte, mentre ascoltavamo le esplosioni e osservavamo dai nostri balconi i missili cadere su Lod, Ramle e tutta la regione centrale, ho dovuto raccontare alla mia nipotina di tre anni che erano fuochi d'artificio. I bambini della nostra scuola primaria sono troppo grandi per credere a queste storie, ma anche troppo piccoli per capire. A scuola gli insegnanti sono molto attenti a far loro esprimere i propri sentimenti.

Il nostro consiglio regionale, che comprende anche una piccola minoranza di villaggi palestinesi, ha chiesto ai rappresentanti di tutte le comunità di sottoscrivere un appello alla calma tra i propri cittadini arabi ed ebrei. L'abbiamo fatto nonostante i dubbi. Nell'attuale situazione si avverte il rischio che le relazioni tra cittadini ebrei e palestinesi si compromettano ancora di più, come abbiamo visto a Gerusalemme, Lod e in altri posti. Molto dipenderà dalla moderazione che mostreranno non solo i cittadini, ma anche la polizia e le forze di sicurezza, che hanno agito finora con mancanza di responsabilità e mano pesante. Ieri, per esempio, a Lod la polizia ha disperso con fumogeni e granate stordenti quanti stavano piangendo la morte del giovane residente ucciso dai colpi d'arma da fuoco di un colono religioso.

La violenza di oggi è solo l'ultimo risultato di tensioni prolungate e incandescenti, che senza una soluzione politica e integrale sono per forza destinate a esplodere. Ciò nonostante condanniamo la violenza, da entrambe le parti.

Ai nostri amici in tutto il mondo il nostro messaggio è quello di chiedere una fine immediata delle violenze. Malgrado in apparenza sia la parte israeliana a voler continuare questa campagna, occorre che le pressioni internazionali siano esercitate ovunque necessario per arrivare a un cessate il fuoco che prevenga la perdita immediata di altre vite e le sofferenze di tanti innocenti. Da solo, però, non impedirà il prossimo round di violenze o il costante scivolamento verso una situazione insostenibile, dove né i palestinesi né gli israeliani potranno vivere in pace e sicurezza.

Da parte nostra a Neve Shalom-Wahat al-Salam continueremo a svolgere il nostro ruolo nell'educazione alla pace, offrendo l'esempio di una società alternativa fondata sulla condivisione e sull'uguaglianza tra cittadini ebrei e palestinesi. Mentre preghiamo che in questi giorni i musulmani possano vivere una pacifica e benedetta festa dell'Eid al-Fitr e gli ebrei e i cristiani una pacifica e gioiosa festa di Shavuot e di Pentecoste.

* Sindaco del villaggio di Neve Shalom-Wahat al Salam