Nel penitenziario di Taloja, dove il gesuita di 84 anni è rinchiuso da sette mesi, starebbe dilagando la pandemia. Ai detenuti non sarebbe fornita assistenza adeguata. Il confratello p. Shantanam: "Ha febbre e raffreddore, gli hanno negato la vaccinazione. Quel carcere non diventi come Auschwitz".
Mumbai (AsiaNews) – Padre Stan Swamy, il gesuita di 84 anni in carcere da sette mesi perché accusato di “terrorismo” per il suo impegno in favore dei poveri, potrebbe avere contratto il Covid-19. A temerlo sono i suoi confratelli e la sua famiglia. Nell'ultimo colloquio telefonico il religioso ha lamentano sintomi di febbre e raffreddore proprio mentre la pandemia starebbe dilagando nel carcere di Taloja, all'estrema periferia di Mumbai, dove è detenuto da ottobre.
In una conferenza stampa tenuta il 15 maggio, parenti e amici di tutti e 15 gli arrestati con l'accusa di terrorismo per le dimostrazioni del Bhima Koregaon-Elgaar Parishad del 2018, il caso in cui è coinvolto anche p. Swamy, hanno denunciato le gravi condizioni nella struttura, ricordando che la maggior parte di questi arrestati ha più di 60 anni.
Per conto di p. Swamy ha parlato il confratello gesuita p. Joseph Xavier. “In sette mesi - ha spiegato - non si era mai lamentato delle sue condizioni di salute. Ma il 14 maggio si è detto preoccupato per quanto vede intorno. Lui stesso soffre di febbre, raffreddore e dolore di stomaco e gli danno solo farmaci ayurvedici. P. Stan ha bisogno urgente di assistenza medica". Per conto della famiglia, ha aggiunto p. Xavier, "chiediamo allo Stato e alle autorità carcerarie tre cose. Innanzi tutto che sia fornito un quadro chiaro della situazione sanitaria nel carcere di Taloja; che sia facilitato il colloquio con i detenuti anche attraverso video-chiamate; infine che, alla luce dell'emergenza pandemica, venga riconsiderato il rilascio su cauzione di tutti e 15 gli arrrestati, alcuni dei quali in carcere ormai da tre anni in attesa di giudizio”.
Secondo le notizie fatte uscire dal carcere, la maggioranza del personale della struttura detentiva sarebbe già risultato positivo al Covid-19. L'ospedale interno avrebbe tra i 60 e i 65 casi di malati di coronavirus; i pochi test a disposizione verrebbero utilizzati però solo su chi non ha sintomi, in modo da far risultare che i casi sono pochi. Un detenuto di 22 anni in attesa di giudizio sarebbe morto dopo aver denunciato per giorni dolori a causa della gola infiammata, senza ricevere alcuna assistenza medica. Ai detenuti verrebbe comunque chiesto di prendersi cura dei compagni ricoverati nell'ospedale interno, senza alcun isolamento. E a loro sarebbe anche negato il vaccino sostenendo che non hanno con sé la carta di identità, richiesta dalle procedure per la campagna vaccinale.
Il gesuita p. Arockiasamy Santhanam, che è un avvocato e sta seguendo il caso di p. Swamy per conto della sua congregazione, commenta ad AsiaNews: "Le autorità del carcere devono rispettare un diritto fondamentale dei prigionieri come è quello alla salute. Speriamo che Taloja non diventi come Auschwitz. Chiediamo cha a p. Stan Swamy e agli altri detenuti in gravi condizioni siano fornite subito le cure che possono salvare loro la vita. Se il governo non è in grado di farlo, rilasci p. Stan su cauzione per permettere cure mediche adeguate. Altrimenti sarà responsabile di ogni conseguenza”
“Anche a p. Stan Swamy - aggiunge ancora p. Shantanam - è stata negata la vaccinazione, sostenendo che non ha con sé la sua carta di identità. Quando l'hanno arrestato ha portato con sé i documenti per votare, mettendoli in una borsa. L'aveva con sé quando è arrivato in carcere, ma ora risulta dispersa. L'agenzia per la sicurezza sostiene di non averla mai ricevuta”.