Parlamento Ue: stop all’accordo sugli investimenti se Pechino non ritira le sanzioni

Congelato il processo di ratifica con un voto a stragrande maggioranza. Contro l’intesa anche i Popolari di Angela Merkel, sostenitrice dell’apertura ai cinesi. Critiche alla Commissione europea per una politica troppo debole verso la Cina, soprattutto sul rispetto dei diritti umani a Hong Kong e nello Xinjiang.


Bruxelles (AsiaNews) – Il Parlamento dell’Unione europea ha congelato il processo di ratifica dell’accordo sugli investimenti con la Cina. Lo stop rimarrà in vigore fino a quando Pechino non ritirerà le sanzioni contro personalità e istituzioni europee. La mozione è stata approvata ieri pomeriggio con una schiacciante maggioranza: 599 voti a favore, 30 contrari e 58 astensioni.

Sostegno è arrivato anche dal Partito popolare europeo, il gruppo di riferimento della Cdu tedesca di Angela Merkel. Spinta dagli esportatori del suo Paese, la cancelliera di Berlino è la vera regista dell’intesa di massima raggiunta con i cinesi lo scorso dicembre: i negoziati erano iniziati nel 2013.

Gli europarlamentari hanno condannato con forza le misure punitive di Pechino, considerate un attacco alle fondamentali libertà europee. La Cina ha sanzionato cinque parlamentari Ue, il sottocomitato parlamentare per i Diritti umani, oltre ad alcuni accademici europei. La mossa del gigante asiatico è arrivata in risposta alle sanzioni adottate dalla Ue contro quattro alti funzionari cinesi, ritenuti responsabili di reprimere i diritti dei musulmani turcofoni dello Xinjiang.

I sostenitori della mozione hanno precisato che la cancellazione delle sanzioni è la precondizione per avviare il dibattito sulla ratifica, non per dare il via libera all’accodo. I membri del Parlamento Ue hanno ricordato alla Commissione europea – incaricata dei negoziati – che essi terranno conto della situazione dei diritti umani in Cina nel caso in cui dovranno esprimersi sulla conclusione del patto. Tale riflessione riguarderà anche Hong Kong; molti eurodeputati hanno criticato l’immobilità della Commissione sulla repressione del movimento democratico nell’ex colonia britannica, soprattutto la sua incapacità di superare l’opposizione dell’Ungheria a sanzioni mirate contro Pechino. Il governo di Viktor Orban è il miglior alleato europeo dei cinesi, da cui riceve cospicui finanziamenti.

La maggioranza dell’Europarlamento chiede anche all’esecutivo Ue di aprire negoziati commerciali con Taiwan, che i leader cinesi considerano una “provincia ribelle”, e di affrontare le minacce “cyber” e “ibride” di Pechino.

Con un tweet, Reinhard Bütikofer ha detto che il voto a stragrande maggioranza di ieri non è solo un segnale inviato a Pechino, ma anche alla Commissione europea. L’esponente dei Verdi, capo della delegazione del Parlamento europeo per i rapporti con la Cina, è uno dei cinque europarlamentari sanzionati dal governo cinese. Il commissario Ue al commercio Valdis Dombrovskis sembra aver ricevuto il messaggio. Ieri, durante una conferenza stampa, egli ha dichiarato che la rappresaglia cinese “non crea un ambiente favorevole per lavorare alla ratifica dell’accordo”.

Il ministero cinese degli Esteri ha invitato i parlamentari Ue a “riflettere molto” e a ratificare l’intesa il prima possibile. L’orientamento nelle sedi europee è però per un approccio più duro nei confronti di Pechino. A inizio mese la Commissione ha annunciato una nuova legge contro gli investitori stranieri sovvenzionati dal proprio Stato e una revisione della strategia industriale per ridurre la dipendenza dalle importazioni in settori strategici: due chiari attacchi ai colossi governativi cinesi.