'Guerra alla droga': no di Duterte alla Corte penale internazionale

Il presidente filippino non collaborerà con il tribunale. La procura della Cpi ha chiesto di autorizzare un'indagine sulle uccisioni avvenute nella lotta alla droga voluta dall'uomo forte di Manila.


Manila (AsiaNews/Agenzie) - Il presidente Rodrigo Duterte “non collaborerà mai” con le indagini della Corte penale internazionale (Cpi) sulla “guerra alla droga” lanciata nel Paese dal 2016. Lo ha affermato oggi Harry Roque, portavoce del governo, bollando il processo come “giuridicamente improprio”.

Fatou Bensouda, procuratore capo uscente della Cpi, ha chiesto ieri ai giudici del tribunale internazionale di autorizzare un’indagine sulle presunte uccisioni di civili da parte della polizia filippina. In base ai dati ufficiali, più di 6mila persone sono state uccise in oltre 200mila operazioni antidroga condotte dal luglio 2016. Secondo gli attivisti per i diritti umani, la cifra potrebbe essere però molto più alta.

Nel caso di rischi per la propria vita, Duterte aveva ordinato alle forze di sicurezza di uccidere i sospetti trafficanti di droga. Molti presunti criminali vengono inseriti in apposite “liste di controllo”, ricevono poi le visite della polizia e rimangono uccisi in sparatorie mortali. Nella maggior parte dei casi gli agenti dicono di aver sparato per autodifesa. 

La giudice Bensouda aveva già aperto un’indagine preliminare nel 2018; in risposta Duterte ha ritirato le Filippine dalla Cpi. Per questa ragione il governo di Manila sostiene che il tribunale non abbia giurisdizione sulle Filippine. Bensouda ha dichiarato però che la Corte può indagare sui crimini commessi negli anni in cui il Paese era ancora membro. 

Nella sua dichiarazione, il procuratore capo (che da domani sarà l’avvocato inglese Karim Khan) ha detto che in base alle informazioni disponibili c’è una solida base per credere che la polizia filippina abbia ucciso illegalmente diverse migliaia di persone nel periodo che va da luglio 2016 a marzo 2019.