Il dopo-guerra siriano e le ferite di una nazione che ha perso la speranza

Fra sanzioni internazionali, corruzione interna e inflazione la popolazione è stremata e sotto shock. Operatrice umanitaria: manca la fiducia nel futuro e la fame è un problema quotidiano per gran parte dei cittadini. Si moltiplicano le famiglie che chiedono aiuto, altre rifiutano cibo per non “viziare o illudere” i figli. Si affievolisce sempre più il sostegno esterno e della diaspora. 


Damasco (AsiaNews) - “La mia voce è la voce di tutti i siriani, un popolo che sembra aver perso la speranza e soffre problemi quotidiani fra sanzioni internazionali dall’esterno e corruzione interna: siamo davvero stanchi”. È quanto racconta ad AsiaNews Maria Sargi [nome di fantasia per proteggerne l’identità, ndr], personalità istituzionale attiva fin dai primi tempi del conflitto nel campo della diplomazia e dell’attivismo internazionale. “Viviamo - spiega - una situazione di profondo shock e frustrazione, perché ci sentiamo privi di fiducia. Non parlo di me, della mia famiglia, dei colleghi al lavoro, ma di tutta la società e delle persone che incontro ogni giorno in ogni angolo del Paese”. 

“Durante le fasi più sanguinose della guerra - racconta Maria, che si è spesa a lungo a sostegno delle fasce più deboli della popolazione - siamo sopravvissuti perché avevamo la speranza, con la fine della guerra, di tornare a essere di nuovo felici”. Ma all’avanzare della tregua “è iniziato un qualcosa di molto più grave: sono emerse le ferite della guerra, della distruzione, quelle interiori dell’animo e dello spirito che si sono rivelate sempre più profonde”. 

Oggi la realtà “è ancora, se possibile, più dura e difficile soprattutto a livello economico: ogni settimana una famiglia mi chiama chiedendo aiuto, perché non ha cibo. La maggioranza delle famiglie siriane - prosegue - vive in una condizione simile a quella della carestia, senza poter mangiare. E il sostegno della comunità internazionale, dei Paesi ricchi o dei siriani all’estero si affievolisce ogni giorno che passa, perché si percepisce che l’opinione pubblica non ne può più della Siria e delle sue storie di violenza. Inoltre la pandemia [di Covid-19] ha assestato un colpo ulteriore, mettendo in difficoltà l’intera comunità globale”.

A Damasco, come ad Aleppo e in molti centri più o meno importanti della Siria la situazione resta critica per fame, mancanza di lavoro ed emergenza sanitaria acuita dalla pandemia di Covid-19. Come denunciato da personalità della Chiesa locale, fra cui il vicario apostolico di Aleppo e l’arcivescovo maronita di Damasco, alle misure punitive ordinarie si è aggiunto anche il Caesar Act, che colpisce la popolazione assieme all’inflazione. Una situazione drammatica in cui assumono ancor più valore le parole di solidarietà di Papa Francesco e i suoi appelli alla pace.

“La maggior parte delle persone - riprende Maria Sargi - combatte ogni giorno per garantire un unico, modesto pasto ai propri bambini. Molte famiglie della Ghouta orientale [periferia di Damasco] che hanno vissuto l’assedio mi hanno detto che era più facile all’epoca, anche perché tutti non avevano cibo, erano affamati. Adesso vedono alimenti freschi sui banconi dei mercati, ma non si possono permettere nulla. I bambini chiedono da mangiare, ma i genitori non hanno i soldi per nutrirli. Siamo davvero depressi, ovunque si incontrano persone negative, pessimiste sul futuro per la crisi economica, i prezzi elevati, l’inflazione che continua ad aumentare”. 

In questa situazione drammatica, anche i piccoli gesti di carità sembrano non trovare più spazio. “La scorsa settimana - conclude l'operatrice umanitaria - ho inviato una cesta di cibo a una famiglia che non aveva nulla per sfamare i bambini; qualcosa di fresco e un po’ di verdura. La madre mi ha chiesto di smetterla di aiutarli, perché si vergogna e non vuole ‘viziarli o illuderli’ con alimenti che non è in grado di acquistare in futuro. Mai come oggi, la Siria e il suo popolo vivono in un clima di profonda incertezza”.