Processo d’appello per Khieu Samphan, ultimo leader vivente dei Khmer rossi

In primo grado il 90enne ex capo dello Stato ha avuto l’ergastolo. Complice del genocidio di due milioni di cambogiani. I tribunali locali hanno condannato finora solo tre esponenti del vecchio regime comunista. Il premier Hun Sen non vuole altri processi.


Phnom Penh (AsiaNews/Agenzie) – L’ultimo leader sopravvissuto dei Khmer rossi affronterà il 16 agosto il processo d’appello per la sua condanna all’ergastolo. In primo grado i giudici hanno ritenuto il 90enne Khieu Samphan colpevole di genocidio.  In quanto capo dello Stato, egli ha avuto un ruolo primario nell’uccisione di circa due milioni di cambogiani da parte del regime comunista di Pol Pot (il “fratello numero uno”). Le vittime sono morte tra il 1975 e il 1979 per fame, lavoro forzato ed esecuzioni di massa.

Nel 2018 un tribunale misto cambogiano e internazionale ha condannato Samphan anche per il massacro della minoranza di origine vietnamita e per altri crimini come stupro e matrimoni forzati. Insieme a lui, i giudici hanno decretato la colpevolezza di Nuon Chea (il “fratello numero due”). Nel 2014 una corte dell’Onu aveva inflitto ai due leader dei khmer rossi l’ergastolo per l’evacuazione forzata di Phnom Penh. Il fatto è avvenuto nell’aprile 1975, quando la popolazione locale è stata deportata nelle campagne.

Nuon Chea è morto nel 2018; Pol Pot nel 1998 senza mai finire davanti ai giudici. I khmer rossi volevano trasformare la buddista Cambogia in una utopia socialista agraria. Istituiti nel 2006, i tribunali misti cambogiani hanno condannato solo tre leader khmer, costando più di 255 milioni di euro. L’attuale premier Hun Sen (un ex khmer rosso) non vuole altre incriminazioni. Secondo l’autoritario leader cambogiano, esse creerebbero ulteriore instabilità nel Paese.