'Anche con Pechino si può essere ingannati nel dialogo'
di Gianni Criveller *

P. Criveller, missionario del Pime e sinologo, commenta le parole di papa Francesco sulla Cina nell'intervista diffusa ieri: "Ha ben presente le voci preoccupate sull'accordo sino-vaticano. Noi speriamo davvero che il papa abbia successo in questo dialogo, ma continueremo a raccontare anche tutte quelle situazioni che oggi vedono restingersi gli spazi di libertà per i cattolici cinesi".


Milano (AsiaNews) - Papa Francesco torna a parlare della Cina. Non lo fa spesso, e per questo, ancora di più, le parole pronunciate alla radio spagnola Cope, riportate ieri da Asianews, sono importanti. Esse hanno un sapore nuovo rispetto al passato, e rispetto anche a certi entusiasmi apologetici di persone che si sentono autorizzate a rappresentare il pensiero del papa.

Francesco afferma che “quello della Cina non è un terreno facile”: sembra essere un’amissione rispetto a parole del passato che sottolineavano solo la grandezza della civiltà cinese, E mi pare ancora più significativa l’affermazione per cui “si può essere ingannati nel dialogo, si possono compiere degli errori”. Non penso che il papa suggerirebbe questa eventualità se fosse certo di poterla escludere. Dunque anche lui teme che l’esito dell’accordo che ha sancito il dialogo tra Cina e Vaticano possa finire per essere questo. Il fatto che il papa stesso ammetta questa possibilità mostra che egli ha presente la situazione sul campo. Ha preso nota delle tante voci preoccupate che in questi anni si sono levate dalla Cina e da chi segue la vicenda delle comunità cattoliche di quel Paese.

Commentando l’accordo del 2018, dopo aver descritto aspetti positivi e aspetti problematici, avevamo detto che da parte della Cina l’intesa con il Vaticano potrebbe essere “un astuto inganno”. Un'opportunità, cioè, per dare un’immagine pubblica di apertura che non corrisponde affatto a quanto succede sul campo dove, al contrario, si restringono gli spazi delle libertà.

Il papa fa un primo bilancio: anche a lui sembra piuttosto magro, penso al di sotto di attese e speranze. “Quanto è stato raggiunto finora è stato per lo meno il dialogo... e anche alcune cose concrete come la nomina di nuovi vescovi, lentamente. Però sono passi e risultati che possono anche essere discutibili, da una parte o dall’altra”. In effetti i vescovi nominati sono davvero pochi rispetto alla necessità del popolo di Dio; alcuni di loro, nello specifico, erano stati scelti prima dell’accordo stesso. Di altri benefici derivanti dall’accordo non siamo a conoscenza. Anzi, come mostrano le notizie che provengono dalle comunità cattoliche, la situazione dei credenti è sempre più difficile. È giusto che il papa non tiri in ballo la pandemia per giustificare la povertà dei risultati. La pandemia, infatti, non ha impedito alla Cina di ottenerne in altri campi, tra i quali la soppressione della libertà e della democrazia ad Hong Kong.

In tutto questo, ribadisce Francesco ed è certamente il punto di forza del suo discorso, “non dobbiamo rinunciare al dialogo”. Non possiamo che apprezzare la fiducia del papa nel dialogo. Il dialogo è importante soprattutto con gli interlocutori più caparbi. E c’è una dimensione di 'martirio’ nel dialogo (martirio come testimonianza sofferta). Il papa lo afferma ispirandosi al dialogo che Agostino Casaroli aveva a suo tempo iniziato con i regimi comunisti europei. Casaroli raccontò quella vicenda nel libro “Il martirio della pazienza”, un titolo evocativo che sollecita anche il pensiero del papa. Dunque per dialogare con la Cina ci vuole il martirio della pazienza: lo sanno bene i cattolici cinesi che hanno ben poco per cui esultare. Lo diciamo con tutto il cuore di cattolici leali: noi speriamo davvero che il papa abbia successo, e che realizzi attraverso questo dialogo davvero difficile, ciò che ha nel cuore, ovvero la libertà per la Chiesa in Cina e il bene e la pace per questo popolo.

Commentando le numerose perplessità e preoccupazioni che gli sono giunte sull’accordo tra la Cina e il Vaticano, rinnovato nell’ottobre dello scorso anno, papa Francesco, con lo stile autoironico che occasionalmente lo caratterizza, dice: “Anch'io quando ero laico e sacerdote amavo tracciare la strada al vescovo, direi che è una tentazione lecita, se lo si fa con buona volontà”.

Siamo tra quelli che hanno avuto, e hanno tuttora, la tentazione di ‘tracciare la strada’, ovvero quella di rappresentare alla Santa Sede, con rispetto, in buona coscienza e con buona volontà, le notizie che raccogliamo dai nostri fratelli e sorelle in Cina e le loro preoccupazioni e sofferenze. La nostra lealtà al papa e ai suoi collaboratori si esprime anche attraverso la comunicazione di analisi e riflessioni che presentino la complessità della situazione, incluse le vicende che non avallano le narrazioni di successo.

Per questo pensiamo che il silenzio - che sembra coinvolgere persino parte della stampa cattolica - sulle gravi difficoltà delle comunità cattoliche in Cina (e più in generale di altre tragedie in corso in quella nazione) non sia un buon servizio al papa. Nel 1933 Edith Stein (proclamata martire, santa e patrona d’Europa da Giovanni Paolo II) scrisse una nobilissima lettera a Pio XI implorandolo di non tacere sulle politiche di Hitler. Il dialogo dunque, che ha una dimensione di sofferta testimonianza, non può avanzare se una parte tace. C’è - dunque - da ritenere che la Santa Sede abbia trovato le forme, anche se pubblicamente non sono conosciute, per esprimere all’interlocutore il proprio disappunto circa l’involuzione della libertà della pratica religiosa in Cina e della soppressione della libertà e democrazia a Hong Kong.

Se, come dice il papa alla radio spagnola, "tracciare la via al vescovo" è una tentazione lecita e da lui stesso praticata a suo tempo, c’è da sperare che molti ne seguano l’esempio e si lascino vincere da questa tentazione. E che facciano giungere al papa e alla Santa sede il loro apporto anche critico. E noi tra loro.

* missionario del Pime e sinologo