Partito comunista diviso sui rigurgiti maoisti di Xi Jinping
di Li Qiang

L’ala pro-mercato prende di mira la “comune prosperità” invocata dal leader cinese: potrebbe trasformarsi in “comune povertà”. È improbabile che Xi salvi Evergrande, il colosso immobiliare a rischio bancarotta: è legato alla fazione avversa della Gioventù comunista. Sinologo Willy Lam: il presidente non ha neanche l’appoggio incondizionato dell’esercito.


Pechino (AsiaNews) – I rigurgiti maoisti di Xi Jinping avrebbero provocato divisioni all’interno del Partito comunista cinese (Pcc). Lo sottolinea su China Brief il noto sinologo Willy Lam. Vi sarebbero soprattutto divergenze sulla “comune prosperità” promossa da Xi: il tentativo di obbligare i grandi gruppi industriali (privati) a condividere la loro crescente ricchezza con gli strati meno privilegiati della popolazione.

Quello che appare un processo “egualitario” è esemplificato dall’attacco del presidente cinese contro i grandi monopoli nel settore dell’hi-tech. La campagna anti-trust del leader cinese non ha preso di mira però le grandi imprese di Stato. Secondo alcuni osservatori, questo è un segno che la svolta maoista di Xi ha poco a che fare con la redistribuzione della ricchezza, ma è in realtà un modo per depotenziare imprenditori che con la loro forza economica potrebbero minacciare il potere del Partito e del suo massimo “timoniere”.

Lam sostiene che l’ala più “liberista” del Pcc spingerebbe per mantenere il sistema di liberalizzazioni economiche lanciato da Deng Xiaoping alla fine degli anni Settanta e rafforzato a partire dal 1992. Un accademico pro-mercato come Zhang Weiying, docente di economia all’università di Pechino, avverte che la comune prosperità di Xi va contro le leggi fondamentali del mercato e potrebbe tradursi in una “comune povertà”. Il rischio più immediato è quello di impaurire gli investitori stranieri.

Le autorità sono sempre più preoccupate per i disordini sociali legati alla possibile bancarotta di Evergrande, grande compagnia immobiliare che ha accumulato un debito di quasi 300 miliardi di dollari.   Proteste di piazza da parte di creditori e investitori si sono già avute a Shenzhen, Zhengzhou e in altre città.

Gli analisti sono in disaccordo sulla possibilità che lo Stato intervenga per salvare un’azienda “troppo grande per fallire”.  Nikkei Asia fa notare però che la vicinanza di Xu Jiayin, fondatore di Evergrande, con la Gioventù comunista rende il salvataggio della compagnia meno probabile. Sin da quando è diventato presidente nel 2013, Xi ha emarginato la potente fazione del Partito, legata al suo predecessore Hu Jintao e al premier Li Keqiang.

Lo scontro di potere nel Partito emerge mentre l’economia nazionale cresce, ma a un ritmo sempre più lento, con i consumi che faticano a riprendersi dalla crisi del Covid e la disoccupazione giovanile che rimane attorno al 15%.

Per puntellare il proprio potere in vista del 6° plenum a novembre e del 20° congresso del Partito il prossimo anno, Xi avrebbe ordinato l’epurazione di molti esponenti degli apparati di sicurezza e della magistratura. Gli epurati, riporta Lam, sono accusati di aver pianificato azioni contro il vertice della leadership. Di questo gruppo farebbe parte anche il miliardario Lai Xiaomin, ex presidente della società pubblica d’investimento Huarong, condannato a morte in gennaio per corruzione, peculato e “bigamia”.

Secondo Lam, Xi non godrebbe poi dell’appoggio incondizionato delle Forze armate. Ciò sarebbe dimostrato dai quattro cambi di guardia in meno di un anno alla guida del Comando occidentale, la più grande unità regionale dell’esercito cinese. Il comando in questione  ingloba province sensibili come Tibet e Xinjiang, ed è responsabile della sicurezza  lungo i confini caldi con India e Afghanistan.