Teheran, i colloqui sul nucleare riprenderanno entro ‘fine novembre’

Il capo negoziatore iraniano parla di “dialogo molto serio e costruttivo” su elementi “essenziali”. La data definita settimana prossima. L’inviato speciale Usa aggiunge: “Fase critica”. Per Teheran dietro l’attacco hacker che ha bloccato le stazioni di carburante vi sarebbe un “attore statale” straniero. Sul web la rivendicazione del fantomatico gruppo “Passero predatore”. 


Teheran (AsiaNews/Agenzie) - I colloqui fra Teheran e potenze mondiali per ripristinare l’accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa) del 2015 riprenderanno entro il mese prossimo. È quanto ha annunciato il capo negoziatore della Repubblica islamica, mentre i governi occidentali rilanciano i timori di un ulteriore avanzamento da parte degli ayatollah nel processo di arricchimento dell’uranio. In un messaggio rilanciato su Twitter al termine dell’incontro con funzionari Ue, Ali Bagheri Kani ha parlato di “dialogo molto serio e costruttivo” su elementi “essenziali” per “negoziati di successo entro la fine di novembre”. 

“La data esatta - ha aggiunto il diplomatico di Teheran - sarà annunciata nel corso della prossima settimana”. Nei giorni scorsi l’inviato speciale Usa per l’Iran Robert Malley aveva detto che gli sforzi per rilanciare il patto erano in una “fase critica”, mentre restano le distanze fra i due Paesi sui passi da compiere e sul quando vanno intrapresi, riguardo soprattutto limiti all’arricchimento e tipologia di sanzioni da cancellare. 

Nell’ultimo biennio Teheran ha violato in maniera progressiva i termini del patto sul nucleare. I primi passi risalgono al 2019, in risposta al ritiro nel maggio 2018 dell’allora presidente Usa Donald Trump dal Jcpoa e alla reintroduzione delle più dure sanzioni della storia, che hanno determinato un crollo dell’economia iraniana. L’accordo temporaneo è scaduto il 24 giugno e le diplomazie internazionali sono al lavoro per un nuovo patto sebbene Joe Biden abbia mantenuto le sanzioni del predecessore. Emissari Usa, Ue e iraniani hanno avviato colloqui a Vienna; l’ultimo si è tenuto il 20 giugno, dopo le elezioni presidenziali e la vittoria dell’ultraconservatore Ebrahim Raisi. 

Sempre ieri il governo di Teheran è tornato sul blocco agli impianti di distribuzione del carburante che ha colpito tutto il Paese il 26 ottobre, attribuendo la responsabilità del cyber-attacco a un “attore statale”; il riferimento è a una nazione straniera, che però non viene esplicitata dai vertici governativi, mentre sul web è apparsa la rivendicazione di un fantomatico gruppo che dice di chiamarsi “Passero predatore”.

Secondo Raisi l’obiettivo era di alimentare “l’ira pubblica”. Solo il 5% delle 4.300 stazioni di servizio sparse per il Paese era riconnesso alla rete ieri mattina, come riferisce il responsabile della National Iranian Oil Products Distribution Company (Niopdc). Tuttavia, oltre 3mila distributori hanno potuto erogare il carburante “offline”, al di fuori del prezzo calmierato imposto dal governo.

Il segretario del Consiglio supremo del cyberspazio, Abolhassan Firuzabadi, ha aggiunto che l’attacco proviene da uno Stato estero ma è “troppo presto” per dire quale e come. L’agenzia semi-ufficiale Fars ipotizza infine un collegamento fra l’attacco hacker e il secondo anniversario delle proteste di piazza dell’autunno 2019, divampate in seguito all’aumento del 50% del costo della benzina, represse nel sangue con oltre 300 vittime.