I cambiamenti climatici hanno reso il Medio oriente ‘invivibile’

È l’allarme lanciato da scienziati e ambientalisti alla viglia della COp26, in programma a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre. Molte nazioni da luoghi pittoreschi sono diventate lande polverose, come in Iran col prosciugamento del lago Urmia. A giungo in Kuwait si sono registrate temperature fino a 53,2 gradi. La regione si sta riscaldando al doppio della media globale.


Beirut (AsiaNews) - Una delle regioni del pianeta più colpite dai cambiamenti climatici e, al tempo stesso, una delle meno preparate per far fronte alle drammatiche conseguenze che comportano. Scienziati e ambientalisti lanciano l’allarme per la grave crisi ambientale attraversata dal Medio oriente, che sta diventando “letteralmente invivibile”, tanto che la scorsa estate diversi Paesi si sono trasformati da luoghi pittoreschi di vacanza in lande di terra polverose. 

Negli anni temperature sempre più estreme e gravi periodi di siccità hanno devastato la regione, bruciando intere foreste e avvolgendo città sotto cappe di calore insopportabile. A giungo, in Kuwait, si sono registrate temperature fino a 53,2 gradi, ma il fenomeno ha riguardato anche Oman, Emirati Arabi Uniti (Eau) e Arabia Saudita con temperatura superiori 50 gradi. Anche in Iraq e Iran si sono raggiunte temperature rispettivamente fino a 51,5 gradi e 51 gradi. 

Per molti il peggio deve ancora venire, perché i fenomeni estremi sono solo all’inizio. La regione mediorientale si sta riscaldando al doppio della media globale ed entro il 2050 avrà una temperatura di almeno 4 gradi superiore all’obiettivo di 1,5 fissato per salvare l’umanità. Secondo la Banca mondiale le condizioni estreme diventeranno routine e i mesi di sole cocente all’anno potrebbero essere più di quattro; il tedesco Max Planck Institute afferma che molte città potrebbero diventare “inabitabili” prima della fine del secolo, anche perché le molte guerre e le divisioni confessionali rendono ancora più difficile una risposta unitaria a sfide che minacciano l’esistenza collettiva. 

Il tema è al centro dei lavori della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, meglio conosciuta come COP26, in programma da domani al 12 novembre a Glasgow, in Scozia, sotto la presidenza del Regno Unito.

Prendendo in esame alcuni Paesi, nello Yemen vi è il pericolo di maggiori inondazioni e di malattie trasmesse dalle acque come denunciano gli esperti della Croce rossa internazionale e della Mezzaluna rossa (Ifrc). In Iraq i cambiamenti climatici sono destinati a rendere ancora più dure le già pressanti sfide in tema di ambiente, sicurezza ed economia. Le temperature crescenti, i periodi di siccità prolungata, le desertificazioni e la salinizzazione hanno messo in ginocchio il comparto agricolo. Il declino dei principali fiumi, il Tigri e l’Eufrate, è destinato a prosciugare le riserve, con inevitabili riflessi sull’economia e le istituzioni negli anni a venire.

In Iran gran parte del territorio soffre di desertificazione e/o deforestazione. Il deflusso delle acque reflue industriali e urbane ha contaminato fiumi, acque costiere e sotterranee. Le zone umide e gli specchi d’acqua dolce si stanno prosciugando, come avvenuto nel lago Urmia un tempo navigabile e oggi più simile a una distesa polverosa. A questo si aggiungono le fuoriuscite di petrolio e sostanze chimiche che hanno danneggiato flora e fauna del Golfo Persico e del Mar Caspio, mentre le autorità di governo non hanno ancora promosso una politica di sviluppo sostenibile, privilegiando obiettivi di crescita a breve termine per mitigare gli effetti delle sanzioni internazionali. 

In Turchia si registrano aumenti della temperatura e fenomeni atmosferici sempre più estremi, caratterizzati da siccità e ondate di caldo. Le emissioni di gas a effetto serra costituiscono l’1% del totale mondiale e la politica energetica continua a prediligere il carbone, con ingenti sovvenzioni nel settore. Venti di crisi giungono anche da Israele, una nazione relativamente piccola, ma il cui impatto a livello regionale supera le dimensioni del Paese e a poco sono valsi, sinora, gli sforzi per ridurre le emissioni: in mezzo secolo la temperatura è aumentata di 1,4 gradi ed è diminuito il tasso relativo alle precipitazioni, si prospettano fra i 20 e i 40 giorni in più all’anno con temperature superiori ai 30 gradi. Infine la Giordania, una delle nazioni al mondo in cui è più forte l’emergenza acqua e i suoi abitanti saranno costretti a vivere con un massimo di 40 litri pro-capite per tutti i bisogni, una cifra di 10 volte inferiore rispetto alla media Usa e già oggi non è disponibile ogni giorno in tutte le case dei giordani.