Attivisti Usa a Biden: con Teheran dialogo, no sanzioni. Piano B disastroso

In una lettera aperta alla Casa Bianca 47 ong sottolineano come la politica di “massima pressione” con Teheran non funziona. Il loro impatto finisce solo per ostacolare la lotta al Covid-19 e impoverire la popolazione. Presidente Niac: non c’è tempo da perdere, escalation “pericolosa”. 


Washington (AsiaNews) - La politica di “massima pressione” a colpi di “sanzioni” degli Stati Uniti contro l’Iran non funziona, a maggior ragione oggi in cui gli sforzi sono rivolti alla ripresa dagli effetti della pandemia di Covid-19. Il loro impatto, unito alle conseguenze delle misure per contrastare il virus, ha effetti devastanti sulle famiglie e continuare a prolungare le misure economiche punitive sarebbe “imperdonabile”. È quanto scrivono in una lettera aperta indirizzata al presidente Usa Joe Biden i rappresentanti di 47 ong guidati dal National Iranian American Council (Niac), secondo cui “non c’è più tempo da perdere” per fermare la crisi. Da qui il giudizio positivo circa la decisione di riprendere i colloqui sul nucleare (Jcpoa 2015) il 29 novembre a Vienna. 

Decine di gruppi si appellano all’inquilino della Casa Bianca perché riprenda le relazioni diplomatiche col governo iraniano, partendo da una assistenza “necessaria e doverosa” negli aiuti umanitari nella lotta al coronavirus, e al ritorno all’accordo. Le sanzioni, sottolineano i firmatari, non devono “inibire le scorte di vaccino” e bloccare le risorse (limitate) necessarie al rifornimento di beni umanitari; al contempo, è necessario consentire l’accesso ai finanziamenti per la sanità pubblica e il sostegno ai molti rifugiati afghani oggi nella Repubblica islamica. 

L’Iran è fra le nazioni più colpite del Medio oriente dal Covid-19, per numero di casi e vittime; le sanzioni americane avrebbero contribuito a rallentare gli interventi atti a contenere la diffusione del virus ed esacerbato la povertà generale. Sara Haghdoosti, vice direttore di Win Without War (fra le 47 ong firmatarie), boccia la politica di massima pressione e sanzioni che “non hanno funzionato”, con un impatto “non giustificabile” su persone fragili. “Dobbiamo risolvere questa sfida - aggiunge - non solo perché è la cosa giusta da fare, ma perché apre più porte pure sul fronte diplomatico”.

Nell’ultimo biennio Teheran ha violato in maniera progressiva i termini del patto sul nucleare. I primi passi risalgono al 2019, in risposta al ritiro nel maggio 2018 dell’allora presidente Usa Donald Trump dal Jcpoa e alla reintroduzione delle più dure sanzioni della storia, che hanno contribuito al crollo dell’economia. L’accordo temporaneo è scaduto il 24 giugno e le diplomazie internazionali sono al lavoro per un nuovo patto, sebbene Biden abbia mantenuto le sanzioni del predecessore. Emissari Usa, Ue e iraniani hanno avviato colloqui a Vienna; l’ultimo si è tenuto il 20 giugno, dopo le elezioni presidenziali e la vittoria dell’ultraconservatore Ebrahim Raisi. 

Fra le realtà che hanno sottoscritto la lettera aperta vi sono l’American Muslim Bar Association, il Christian Pacemaker Teams, la Jewis Voice for Peace and Action, il Maryknoll Office for Global Concerns, il National Iranian American Council (Niac) e Win Without War. Secondo gli attivisti, le voci circa un passaggio dalla diplomazia al cosiddetto “Piano B” (militare) sono “assai preoccupanti” e uno scontro armato finirebbe per compromettere la sicurezza regionale, indebolire gli sforzi contro la proliferazione, indebolire la lotta globale al Covid-19 e “il rischio di una guerra disastrosa”. 

“Il presidente Biden ha ancora una finestra di opportunità - sottolinea Jamal Abdi, presidente Niac - per ripristinare l’accordo nucleare ed evitare una pericolosa escalation verso la guerra, ma servono con urgenza soluzioni creative […] ma non c’è tempo da perdere”. Trita Parsi, vice presidente del Quincy Institute for Responsible Statecraft, avverte: “Il ripristino dell’accordo nucleare iraniano è un imperativo di sicurezza nazionale per gli Stati Uniti. Ed è preoccupante che si parli già di un piano B senza aver prima esaurito tutte le vie diplomatiche”. E una di queste strade, conclude, “è che gli Usa mostrino buona volontà aiutando la lotta dell’Iran contro il Covid-19 [così da] ricostruire la fiducia e forse anche produrre una svolta tanto necessaria nei colloqui sul nucleare”.