Kuala Lumpur, retate della polizia contro i profughi birmani
di Steve Suwannarat

Ai rohingya già presenti da tempo si sono aggiunti nelle ultime settimane oltre 22mila chin in fuga dalle violenze dei militari di Yangon. Il governo di Putraiaya condanna il golpe ma gli immigrati birmani in Malaysia sembrano oggi più ostaggi che ospiti accolti e rispettati.


Kuala Lumpur (AsiaNews) - La Malaysia accoglie una consistente presenza di immigrati, ma la severità delle leggi e una loro applicazione opportunista rende difficile l’esistenza a quasi 156mila profughi del Myanmar registrati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Alla maggioranza di esuli di etnia rohingya sfuggiti a varie ondate persecutorie, si sono aggiunti dalla fine dello scorso settembre oltre 22mila chin in fuga dalle violenze dei militari birmani agli ordini della giunta che ha preso il potere a febbraio.

Secondo l’Unhcr, questa presenza si aggiunge alle altre centinaia di migliaia di immigrati birmani: 550mila regolari e almeno altri 250mila birmani stimati in condizione di irregolarità.

La politica del governo di Putrajaya si barcamena tra una notevole disponibilità di impieghi di basso livello offerti agli stranieri e l’uso arbitrario delle leggi che regolano l’immigrazione. Le restrizioni imposte dalle autorità a partire da marzo 2020 in base alla legge sanitaria e ai maggiori poteri assegnati alla polizia in caso di emergenze nazionali, hanno portato a retate di migliaia di lavoratori irregolari, di rifugiati riconosciuti e di richiedenti asilo.

Secondo gli ultimi dati disponibili, risalenti allo scorso anno, erano almeno 15mila gli stranieri in stato di arresto in strutture sovraffollate e a rischio di diventare (come in parte è avvenuto) focolai di contagio da Covid-19. Molte di queste persone in realtà sono profughi non ancora assistiti dall’Unhcr. Analisi internazionali indicano che tra gli arrestati vi fossero almeno 350 tra donne e bambini e che - sottolinea l’Asian Pacific Refugee Rights Network - crea una situazione di disagio e di incertezza. Fattori che, insieme alle ridotte possibilità di lavoro e al timore di espulsione, spiegano anche le decine di suicidi tra gli immigrati.

Il governo malaysiano è oggi tra quelli che, almeno apertamente, condannano il golpe in Myanmar e chiedono una tregua e l’avvio di un dialogo che porti alla fine delle violenze, ma gli immigrati birmani in Malaysia sembrano oggi più ostaggi che ospiti accolti e rispettati.

Difficile capire perché a pochi giorni dal golpe di febbraio le autorità malaysiane abbiano espulso 1.086 birmani verso un Paese sotto dittatura, dove sono stati incarcerati e lo restano tutt’ora.

D’altra parte, lo stesso Unhcr conferma che, se le autorità negano che gli espulsi siano persone in possesso dello status di rifugiato, dall’agosto 2019 al Commissariato è impedito di accedere ai centri di detenzione per verificare chi tra gli “ospiti” abbia diritto alla protezione internazionale.