Terzo giorno di disordini nelle Salomone. Leader religiosi invitano alla riconciliazione
di Giorgio Licini*

I rivoltosi continuano a chiedere le dimissioni del premier Sogavare, preso di mira anche per le sue posizioni pro-Pechino. Si parla di vittime nella Chinatown della capitale. Incendiati edifici pubblici, privati, negozi e stazioni di polizia. Il primo ministro dice di non voler cedere alla piazza.


Port Moresby (AsiaNews) – Dalle alture su cui è collocata la cattedrale della Santa Croce a Honiara, per il terzo giorno consecutivo padre Mark Misiwasi vede il fumo salire dal quartiere cinese della capitale delle Isole Salomone. I disordini sono iniziati il 24 novembre alla riapertura dei lavori parlamentari quando un gruppo misto originario di diverse province, ma soprattutto da Malaita, ha organizzato una protesta alla Camera dei rappresentanti  chiedendo le dimissioni immediate del primo ministro e del governo.

Le Salomone non sono nuove a disordini di matrice etnica e politica. E’ solo nel 2017 che un contingente di sicurezza di vari Paesi del Pacifico, a guida australiana, è stato ritirato dopo aver ristabilito condizioni di convivenza civile e politica tra i cittadini originari di Malaita e il resto della nazione; soprattutto a Honiara, dove vivono fianco a fianco.

Il ritorno al potere nel 2019 del premier Manasseh Sogavare, figura che già nel passato si è dimostrata incapace di assicurare la concordia nazionale, ha riattizzato però lo scontento. Ora l’isola di Malaita, dove si concentra un terzo della popolazione dell’arcipelago, gli rimprovera soprattutto di aver tagliato i rapporti diplomatici con Taiwan a favore della Cina. Malaita e il suo governatore Daniel Suidani hanno rapporti stretti con Taipei, mentre Sogavare è più interessato al business nella capitale.

Ci sono altre province che chiedono un cambio di governo, soprattutto Guadalcanal dove si trova Honiara. I governatori invitano i cittadini alla calma, ma nello stesso tempo invocano con l’opposizione la sfiducia all’esecutivo.

La polizia australiana è da stamane nelle strade di Honiara. Domani sarà operativo anche il contingente dalla Papua Nuova Guinea. Quasi un centinaio di uomini richiesti ai due governi, si dice per alcune settimane, dalle autorità delle Salomone colte alla sprovvista. P. Misiwasi dice che “i giovani nella parte occidentale della capitale, nei pressi dell’aeroporto, si sono uniti alla polizia cercando di ricondurre la gente alla calma e alla ragione”. Nella zona orientale la situazione è però drammatica, con la minaccia di una nuova marcia  verso la Banca Centrale.

In mattinata la residenza del premier è andata in parte a fuoco; nei due giorni precedenti i rivoltosi hanno attaccato case private, grandi e piccoli negozi, edifici scolastici, una filiale della South Pacific Bank e diverse stazioni di polizia. Ci sono voci non confermate di tre vittime, un cinese e due locali, bruciati in un edificio della Chinatown di Honiara.

Secondo p. Misiwasi, “non c’è verso di far ragionare la gente. È incredibile come non solo i giovani, ma anche anziani, donne, bambini si lascino coinvolgere da un’isteria collettiva di distruzione e saccheggio”. Con ogni probabilità vi hanno un peso non solo rivendicazioni etniche e politiche, ma la disperazione derivante dalla disoccupazione giovanile e dalla povertà delle aree urbane.

A causa della pandemia da Covid-19, nell’ultimo anno e mezzo le autorità delle Salomone hanno chiuso l’arcipelago al resto del mondo. Una strategia sanitaria di successo, ma con costi inevitabili per l’economia. Da tempo molti accusano Sogavare – quattro volte premier – di aver favorito più gli stranieri che i locali in 20 anni di attività politica.

L’arcivescovo della Chiesa anglicana della Melanesia, rev. Leonard Dawea, a capo della confessione cristiana maggioritaria alle Isole Salomone, ha subito rivolto un appello alla popolazione ad abbandonare ogni violenza e saccheggio. “Finché i dimostranti non smettono di incendiare edifici, è però persino pericoloso fare un appello. C’è il rischio di essere fraintesi e subire pesanti conseguenze senza ottenere nulla,” dice ancora p. Misiwasi, segretario aggiunto della Conferenza episcopale per le tre diocesi della Chiesa cattolica delle  Salomone.

Il vescovo cattolico di Auki a Malaita, mons. Peter Houhou, afferma che non si hanno notizie di disordini fuori della capitale. L’arcivescovo di Honiara, l’italo-americano mons. Chris Cardone, e il vescovo di Gizo (nella parte nordoccidentale del Paese), l’italiano mons. Luciano Capelli, sono stati invece evacuati ieri dal Pacific Hotel, a proprietà e gestione cinese, al King Solomon Hotel. Il primo domenicano, l’altro salesiano, avrebbero completato oggi il periodo obbligatorio di quarantena dopo il rientro dai rispettivi Paesi di origine col primo volo post-Covid dall’Australia un paio di settimane fa.

Non è chiaro quanto i leader religiosi, che alle Isole Salomone hanno una buona tradizione di cooperazione, potranno aiutare per la riconciliazione del Paese. Nell’immediato il problema rimane strettamente politico. In un’accorata dichiarazione diffusa ieri, Sogavare ha detto che si piegherà solo alla volontà del Parlamento, non della piazza; che nel caso attuale però non solo manifesta, ma incendia e distrugge con grave danno per i privati, le imprese e il governo stesso.

 

*Segretario generale Conferenza episcopale della Papua Nuova Guinea e Isole Salomone