Anupam Debashis Roy: 'Noi giovani del Bangladesh e il nostro Paese ferito da 50 anni'
di Chiara Zappa

Nell’anniversario della fine della guerra di liberazione del 1971, Dhaka fa ancora i conti con le gravi contraddizioni che caratterizzarono la separazione dal Pakistan. "Ma tanti esponenti della nuova generazione vogliono voltare pagina e creare un sistema pluralista e davvero democratico", afferma il noto attivista 24enne fondatore a Dhaka del Muktiforum


Dhaka (AsiaNews) - A cinquant’anni dalla sua nascita, il Bangladesh deve ripartire dai giovani, dando spazio al loro desiderio di superare i vecchi schemi del passato e di plasmare un Paese «liberale, pluralista e davvero democratico». Ne è convinto Anupam Debashis Roy, classe 1997, tra i più noti attivisti della nuova generazione e testimonianza vivente di un’ondata di cambiamento che in Bangladesh cerca di farsi strada nonostante un clima ben poco favorevole alla libertà di espressione.

La storia di questa nazione asiatica iniziata con la vittoria, il 16 dicembre 1971, della sanguinosa guerra per separarsi dal Pakistan che causò tre milioni di vittime, non ha mai smesso di tormentare la sua vita politica e sociale. Lo dimostra il fatto che le stesse protagoniste dell’attuale scena pubblica sono le eredi dirette di quella storia: la premier Sheikh Hasina, al suo terzo mandato, è la figlia del padre della patria Sheikh Mujibur Rahman, fondatore dell’Awami League che lei oggi guida, mentre la leader del Partito nazionalista bengalese (Bnp) all’opposizione, Khaleda Zia, è la moglie di quel Ziaur Rahman che aveva governato il Paese con il pugno di ferro - e il sostegno dei fondamentalisti islamici - dal ’76 fino al suo assassinio nell’81.

«La mia generazione è cresciuta respirando una narrativa polarizzata della guerra di liberazione, che oppone secolaristi e islamisti», spiega Anupam Debashis Roy nel servizio speciale che Mondo e Missione dedica all’anniversario dell’indipendenza. Anche le ondate di proteste popolari che periodicamente infiammano le piazze affondano le radici in questa divisione, così come gli attacchi a blogger e intellettuali liberali e i periodici attentati a matrice islamista (nel luglio 2016 un’aggressione terroristica in un locale di Dhaka uccise venti persone, tra cui nove italiani).

«Noi invece vogliamo una “seconda guerra di liberazione”, che ci affranchi dall’autoritarismo e dalla corruzione della classe dirigente e ci garantisca giustizia sociale e libertà di espressione», afferma Roy. Nato a Syedpur in una famiglia indù, appena sedicenne il giovane, sulla scia delle manifestazioni popolari legate al movimento laico Shahbag divampato nel 2013, decise di darsi all’attivismo in prima persona: i suoi video satirici pubblicati sul web in cui affrontava apertamente alcuni temi scottanti, come le turbolente relazioni con il grande vicino indiano, divennero rapidamente virali.

Nel 2017 la decisione di andare oltre il datato dibattito pubblico nazionale con la creazione di una piattaforma di mobilitazione civile: il Muktiforum, la cui pagina Facebook ha quasi 75mila follower, riunisce giovani scrittori, intellettuali e militanti che vogliono «proporre una terza via nello scenario politico del Paese».

«In Bangladesh negli ultimi anni gli studenti hanno dimostrato una forte propensione a farsi sentire, come dimostrano la protesta universitaria del 2018 per la riforma del sistema di quote nel servizio pubblico e quella dei ragazzi delle superiori contro la mancanza di sicurezza nelle strade», spiega l’attivista, le cui prese di posizione molto dirette anche nei confronti dell’esecutivo Hasina gli sono costate il posto di lavoro come giornalista al quotidiano Dhaka Tribune.

«Purtroppo i vecchi partiti politici cercano ogni volta di infiltrarsi in queste mobilitazioni per manipolarle, mentre il partito di governo, spesso attraverso la sua violenta ala giovanile, trova sempre il modo per spazzare via i manifestanti». Roy interpreta pure i ricorrenti attacchi contro gli indù - l’ultimo lo scorso ottobre in occasione della festività di Durga Puja - come «l’ennesimo fallimento del governo nel proteggere tutti i cittadini». Eppure - afferma - «la volontà di cambiamento è diffusa e questo mi rende fiducioso».