Mons. Marco Tin Win racconta ad AsiaNews il dramma del Paese senza pace dopo il golpe del 1 febbraio: "L'anno scorso c'era il Covid-19, ora soffriamo per un disastro causato dall'uomo. I militari cercano dappertutto chi combatte contro di loro, anche preti e suore costretti a scappare. Ai birmani lontani da casa come Maria e Giuseppe voglio dire: Dio è con voi".
Mandalay (AsiaNews) – Per il secondo anno consecutivo sarà un Natale diverso in Myanmar. Niente luci, niente canti e niente festeggiamenti. “Fino al 2019 invitavamo gli altri leader religiosi a festeggiare con noi. Poi nel 2020 è arrivato il disastro della pandemia del Covid-19. Quest’anno è ancora peggio, perché soffriamo di un disastro causato dall’uomo per il quale non c’è cura”. Racconta così la situazione del Myanmar l’arcivescovo di Mandalay Marco Tin Win. “Ho 62 anni e non ho mai vissuto niente di così tragico in vita mia”.
In tutto il Myanmar continuano i combattimenti da quando il primo febbraio di quest’anno la giunta militare ha preso il controllo del Paese estromettendo il governo guidato da Aung San Suu Kyi. “Speravamo di poter festeggiare il Natale come un tempo, con le persone. Ma passiamo con tristezza questi giorni in cui ci prepariamo ad accogliere Gesù pregando per il nostro popolo”, racconta il presule ad AsiaNews. Anche l’arcidiocesi di Mandalay, pur trovandosi al centro del Paese, ha conosciuto un esodo di abitanti. “La condizione dei birmani è simile a quella di Maria e Giuseppe durante il primo Natale: lontano da casa, nella giungla, nelle foreste e nelle grotte del Paese, sono scappati per salvarsi”, spiega con commozione l’arcivescovo Tin Win. “Ma anche nelle città la gente soffre perché ci sono combattimenti tutti i giorni. La gente qui lotta per la propria vita. Celebreremo solo l’eucarestia per stare vicino alla gente, ma nessun festeggiamento in pompa magna, le persone che soffrono sono troppe”. La maggior parte dei birmani che sono fuggiti si trovano in Thailandia e in Myanmar: a Mandalay, circa 50mila persone su 300mila sfollati interni hanno lasciato le loro case per cercare rifugio altrove.
“Il Natale è l’occasione per condividere l’amore di Dio attraverso di noi. Quest’anno non decoriamo le chiese con le luci. Ho chiesto ai fedeli di risparmiare i soldi delle decorazioni e compiere donazioni se possono”. La Chiesa non è coinvolta nei combattimenti ma spedisce aiuti, anche alle altre comunità religiose. I cristiani dell’arcidiocesi, che prima della guerra erano poco più di 21mila, partecipavano a regolari incontri interreligiosi. “Non teniamo più questi incontri, ma ci aiutiamo tra comunità religiose. Se abbiamo qualcosa da condividere - cibo, abiti o medicine - lo diamo ai leader musulmani, indù o buddhisti che lo ridistribuiscano tra i loro fedeli”.
La situazione è disperata: anche in Myanmar è inverno e la gente ha bisogno di vestiti e provviste: “Il tempo della mietitura è saltato perché la gente non è potuta tornare ai propri villaggi. Le persone che vengono a Messa hanno paura perché ogni giorno i militari entrano a cercare chi combatte contro di loro. Anche i preti e le suore a volte sono costretti a scappare”. E il Covid-19 continua a devastare il Paese. “Ad aprile, maggio e giugno non riuscivamo nemmeno a seppellire i cadaveri da quanti ce n’erano”. La situazione sanitaria sembra essere migliorata, ma la paura resta tanta. “E non c’è speranza per il futuro, a meno che non cambi il cuore delle persone e la gente capisca il valore della pace e della vita umana. Non c’è altra cura per questo disastro creato dall’uomo”, ripete il porporato.
“Penso al Salmo 136: come possiamo cantare di gioia per la venuta del Signore? Possiamo permetterci di farlo con poche attività caritatevoli e stando comunque vicino alle persone attraverso la preghiera. Voglio dire ai birmani che non sono da soli nelle foreste e nelle grotte, noi siamo con voi e Dio è con voi”, prosegue Tin Win. “Vorrei mandare questo messaggio in maniera semplice quest’anno invece di annunciarlo con i soliti grandi festeggiamenti: Dio ci ha mandato un Salvatore, abbiate speranza”. Certo, la situazione è tragica, ma “spero comunque che riusciremo a festeggiare insieme l’anno prossimo”, conclude l’arcivescovo.