Il costo della guerra per Mosca
di Vladimir Rozanskij

L’esclusione dal sistema bancario Swift e il congelamento degli asset della Banca centrale russa deciso dall’Occidente sono un duro colpo per il Cremlino. Rischio crollo del rublo e corsa ai bancomat. Usa ed Europa vogliono innescare una protesta popolare e spingere Putin a trattare.


Mosca (AsiaNews) – La discussione sulle sanzioni decise dai Paesi occidentali contro la Russia è molto accesa ovunque, per l’incertezza sulla loro efficacia, e l’impressione che il Cremlino sia preparato da tempo a vivere in regime di autarchia. L’esclusione dal sistema bancario Swift e il congelamento degli attivi della Banca di Russia dall’Unione europea, dagli Stati Uniti e dal Canada appaiono oggi le misure più radicali: ora i russi non potranno più utilizzare le proprie riserve in valuta estera per sostenere il corso del rublo.

Secondo l’economista russo Sergej Guriev, intervistato da Meduza, questa scelta “è molto seria e inattesa, non si pensava che sarebbe stata possibile. Le riserve sono tra le basi fondamentali della stabilità macroeconomica, ed è ora difficile prevedere che cosa accadrà sul mercato valutario”. Il rublo potrebbe venire sospeso dalle contrattazioni, e si potrebbe diffondere il panico, in ogni caso appare un colpo durissimo all’economia russa.

È molto importante anche considerare quali siano i Paesi che hanno bloccato le riserve. Secondo un pensiero diffuso, la Russia non dovrebbe spaventarsi, avendo accumulato ampie riserve auree e convertito molte di esse in yuan, la moneta cinese; non c’è però la garanzia che le banche cinesi sostengano fino in fondo la Banca di Russia, perché anch’esse potrebbero andare incontro a forti limitazioni per questo.

Come ricorda Guriev, “non è solo teoria, è già successo, per esempio con la banca francese Bnp Paribas, quando ha violato le sanzioni Usa ed è stata costretta a pagare penali multimiliardarie… non mi immagino i cinesi disposti a perdere tali somme per soccorrere i russi”.

Mosca dovrà trovare dei compratori per il loro oro disposti ad andare contro le istituzioni principali del sistema bancario; Washington potrebbe proibire ai cinesi di cambiare in dollari gli yuan. I russi hanno comunque bisogno di dollari ed euro, perché la maggior parte delle importazioni della loro economia viene comunque dall’Europa: medicinali, tecnologie, cibo, tutte cose che non si comprano con gli yuan.

È vero che la Russia fa i conti con le sanzioni fin dal 2014, quando però non era bloccato l’accesso alle riserve internazionali. L’alto prezzo del petrolio sembra favorire Putin, ma non si sa come potrà essere venduto: se anche venisse pagato in dollari, questi non potrebbero essere convertiti e usati dalla Russia, ma finirebbero anch’essi congelati. Gli unici paragoni di questo tipo di sanzioni sono l’Iran e la Corea del Nord, Paesi molto diversi dalla Russia per i parametri economici.

La Russia era preparata ad essere esclusa dalla tecnologia, e a doversi rassegnare a una stagnazione economica in generale, ma non credeva e ancora non crede di dover affrontare una crisi valutaria. È possibile che venga decisa dal governo moscovita una confisca delle riserve in dollari dei privati cittadini, proibendo il loro prelievo dai conti correnti e obbligando a cambiarli in rubli secondo il corso deciso dall’alto. Diminuiranno drasticamente le importazioni, e non disponendo di valuta forte diventerà difficile acquistare beni di prima necessità.

Questo scenario fa comprendere lo scopo di queste sanzioni: costringere Putin a sedersi al tavolo delle trattative, e ritirare le forze d’invasione dall’Ucraina, facendo leva sul malcontento della popolazione russa che per quanto possa essere favorevole all’azione militare, non potrà essere grata al presidente per aver bloccato i conti e svalutato il denaro.

Anche nel caso non molto probabile che Putin si pieghi al peso delle sanzioni, l’economia russa è comunque attesa da un periodo molto difficile. Se pur queste venissero poi sospese in parte o del tutto, gli investitori stranieri ci penseranno a lungo prima di fidarsi nuovamente a fare affari in Russia, col rischio di nuovi colpi di testa del regime.

E l’Occidente ha ancora in serbo l’arma “nucleare” sanzionatoria: bloccare l’importazione di gas e petrolio russi, che comporterebbe gravi sacrifici anche ai cittadini europei. Ma se la Ue riuscisse a compensare tale perdita con altre fonti di approvvigionamento (ad esempio gli stessi Usa), di nuovo alla Russia resterebbe solo la svendita alla Cina, senza alcuna garanzia di poter superare la crisi.