Tokyo nega status di rifugiato a cristiano nigeriano minacciato da Boko Haram
di Guido Alberto Casanova

Gabriel Osaheni Aghedo vive in Giappone da 30 anni. I fondamentalisti islamici dicono di volerlo uccidere se rientrerà in patria, ma le autorità nipponiche rifiutano di riconoscere la Nigeria come un Paese a rischio. Per questo non ha il diritto di lavorare e ricevere cure mediche a Tokyo. Nel 2020 il Giappone ha accolto in tutto 47 richieste di asilo, appena l'1% di quelle presentate.  


Tokyo (AsiaNews) - Sono oltre 30 anni che Gabriel Osaheni Aghedo vive in Giappone, ma il suo diritto a poterci rimanere non è ancora stato riconosciuto dalle autorità di Tokyo. Aghedo, un cristiano originario della Nigeria, è arrivato per la prima volta nel 1991 e le sue intenzioni erano quelle di vivere a cavallo dei due Paesi. Almeno questi erano i suoi piani se la galassia del fondamentalismo islamico nigeriano non avesse minacciato la sua vita.

Il gruppo che sarebbe poi stato rinominato Boko Haram e conosciuto in tutto il mondo per gli omicidi e i rapimenti di persone ha infatti decretato che il libro di auto-aiuto scritto da Aghedo sia in violazione degli insegnamenti del Corano. Le minacce non sono rimaste incompiute. Pubblicato in Giappone e distribuito in Nigeria attraverso la sorella, il libro ha presto provocato le ritorsioni degli estremisti che hanno intimidito con la violenza la sorella di Aghedo e altri membri della sua famiglia, costringendoli a nascondersi. Boko Haram ha addirittura recapitato una lettera alla sorella in cui prometteva di “uccidere Gabriel appena tornerà a casa”.

Eppure, secondo le autorità giapponesi la Nigeria è ancora un Paese sicuro per Gabriel Osaheni Aghedo e la sua richiesta di asilo in passato è già stata rifiutata con la motivazione che può tornare nel Paese senza rischi di persecuzione contro la sua persona.

Come riportato da Bitter Winter, un sito per la libertà religiosa e i diritti umani, Aghedo è un membro molto attivo della comunità dove vive a Tokyo. È stato impegnato in campagne di assistenza promosse dalla chiesa di Sant’Ignazio della quale è membro da molti anni, e la comunità di fedeli ha lanciato una petizione online per chiedere alle autorità giapponesi di accettare la nuova domanda presentata da Aghedo per farsi riconoscere lo status di rifugiato. L’udienza era stata fissata dall’Ufficio Regionale di Tokyo per l’Immigrazione l’8 febbraio, ma è stata rinviata per colpa della recente ondata di contagi Covid.

Il Giappone tuttavia è noto per le proprie leggi molto dure in materia. Nel 2020 appena l’1% delle domande di riconoscimento dello status di rifugiati sono state accettate dalle autorità giapponesi, ovvero 47 in totale. Il governo di Tokyo infatti è oggetto di pesanti critiche per quanto riguarda il trattamento di immigrati e richiedenti asilo, in alcuni casi con risvolti tragici. Nel marzo scorso, una giovane immigrata irregolare dello Sri Lanka è morta in un centro di detenzione senza che le autorità le consentissero di uscire per farsi visitare in un ospedale. L’episodio ha avuto una grande eco e l’UNHCR ha avviato un confronto con l’agenzia nazionale per l’immigrazione per migliorare il sistema, ma la strada da fare è ancora molta.

Proprio per questo, nella petizione lanciata dai sostenitori di Aghedo, si chiede di concedergli se non lo status di rifugiato per lo meno la residenza per considerazioni umanitarie, con la quale potrebbe acquisire il diritto di lavorare e ricevere cure mediche che la sua condizione attuale non gli consente. Al momento infatti, Aghedo si trova in condizioni di ristrettezze economiche da quando anche quel limitato supporto finanziario che riceveva dal Refugee Headquarters è stato interrotto dopo la prima sentenza.