Dal summit del Negev un forum permanente fra Israele e nazioni del Golfo

Si è chiusa la due giorni di incontri nella terra simbolo di Ben Gurion. Presenti anche Stati Uniti, Bahrain, Marocco, Emirati (ed Egitto). Al centro dei colloqui la “minaccia” rappresentata dall’Iran e dai suoi alleati, pressoché assente la questione palestinese. Cancelliere del Patriarcato: in gioco “interessi divergenti”, ma potrebbe rappresentare “un passo nella giusta direzione”. 


Gerusalemme (AsiaNews) - Il “summit del Negev” diventerà un “forum permanente regionale”, con incontri “regolari” fra i Paesi membri, organizzati e ospitati secondo un criterio di rotazione fra le nazioni partecipanti. Nella due giorni nel deserto, Israele, Stati Uniti e un gruppo di nazioni arabe hanno gettato le basi per relazioni dirette e durature nel tempo, che prevedono il coinvolgimento [per ora] degli Emirati Arabi Uniti (Eau), del Bahrain, del Marocco e dell’Egitto. A dare l’annuncio sono stati i ministri degli Esteri delle rispettive nazioni, durante la conferenza stampa congiunta a chiusura dell’evento promosso in terra israeliana e focalizzato sui temi della sicurezza regionale e della “minaccia” costituita dall’Iran e dai suoi alleati. 

“Il fatto che alcune persone siano state invitate all’incontro e altre no ha sollevato preoccupazioni” e mostrato come da varie parti emergano “interessi divergenti” sottolinea ad AsiaNews p. Davide Meli, cancelliere del Patriarcato di Gerusalemme. “Vi è chi vede in questo incontro [nel Negev] un passo nella direzione giusta - prosegue il sacerdote - ma non mancano voci critiche e contrarie” soprattutto fra i palestinesi. “Da entrambe le parti - precisa - vi sono persone di buona volontà che vogliono collaborare” per sbloccare una situazione in stallo da tempo. E, in questo senso, va letto “l’incontro in programma oggi fra il re di Giordania e il presidente palestinese Mahmoud Abbas. Vi sono stati tentativi di far ripartire la questione, ma la pandemia ha avuto effetti anche su questi sforzi” della diplomazia. “Vi sono però persone di buona volontà che cercano di portare avanti un dialogo”. 

Ieri e oggi Israele ha ospitato un importante summit regionale, impensabile fino a pochi anni fa e frutto degli “Accordi di Abramo” sponsorizzati dall’ex presidente Usa Donald Trump, con la partecipazione di Usa, Emirati, Bahrain e Marocco (ed Egitto). Al centro della discussione temi di attualità mediorientale, con una particolare attenzione al nucleare iraniano e le implicazioni sulle nazioni dell’area. Teatro dell’incontro un hotel di Sde Boker, nel deserto del Negev, legato al fondatore dello Stato Ben Gurion, a conferma del valore non solo politico ma anche simbolico di un appuntamento - a livello di ministri degli Esteri - che non ha precedenti per Israele. 

Un richiamo al Cairo e al summit è stato fatto ieri dal premier israeliano - risultato oggi positivo al Covid-19 e in isolamento - in apertura della riunione di governo. Naftali Bennett ha sottolineato che nel Negev “la vecchia pace con l’Egitto incontra la nuova degli Accordi di Abramo”, con una forte connotazione anti-iraniana considerata dalla stessa Israele e dal blocco del Golfo come la principale minaccia alla stabilità regionale. Grande assente la nazione che rappresenta il cuore dell’islam sunnita, l’Arabia Saudita, che finora non ha nemmeno aderito al patto sponsorizzato da Trump, ma che segue con attenzione gli eventi. Lo Stato ebraico e il regno wahhabita hanno di recente rafforzato la partnership in tema di difesa e intelligence per arginare il nucleare degli ayatollah. 

Analisti ed esperti locali sottolineano che la collaborazione fra Israele e le nazioni del Golfo, o almeno parte di esse, appare inevitabile. Times of Israel spiega che “gli Stati Uniti hanno altre preoccupazioni” e il timore è che “sottovalutino il pericolo posto dall’Iran” con il quale l’amministrazione Biden vuole chiudere l’accordo nucleare dietro concessioni, fra cui la rimozione dei Pasdaran dai gruppi terroristi. Di contro, gruppi estremisti islamici locali e i movimenti palestinesi di Gaza, fra i quali Hamas, condannano il vertice del Negev considerandola una “pugnalata alla schiena” da parte di nazioni musulmane. In quest’ottica si inquadrerebbe anche l’attentato di ieri sera a Hadera, nel centro di Israele, rivendicato dallo Stato islamico (SI, ex Isis), ma non mancano i dubbi sull’autenticità del proclama. Nell’attacco a colpi di arma da fuoco sono morti due israeliani e altri tre sono rimasti feriti, mentre i due assalitori sarebbero stati “neutralizzati” nello scontro a fuoco con altri agenti intervenuti.