India e Myanmar, record di blocchi di internet in un anno

Nel 2021 le connessioni sono state sospese o rallentate almeno 182 volte in tutto il mondo. L'Asia detiene i record per le interruzioni più lunghe - in Pakistan - e più frequenti - in India, in particolare nella ragione del Kashmir, e in Myanmar. I governi vogliono silenziare le opposizioni. Enormi le perdite economiche.


Milano (AsiaNews) - Nella regione dell’Asia-Pacifico ci sono stati 129 blocchi di internet in 7 Paesi l’anno scorso, 15 in più rispetto ai 114 del 2020 avvenuti in 5 Paesi. Al primo posto di questa inquietante classifica, compilata da un collettivo di organizzazioni della società civile chiamato #KeepItOn, si posiziona l’India, in netto distacco da tutte le altre nazioni del mondo con 106 blocchi di internet, di cui ben 85 nella regione contesa del Jammu e Kashmir. Al secondo posto troviamo il Myanmar con 15 interruzioni di internet, poi l’Iran e il Sudan con 5 e a seguire una serie di Paesi dell’Africa e del Medio Oriente.

Ma l’Asia ha ottenuto anche un altro triste primato, quello del blocco più lungo: 2026 giorni (quasi quattro anni) nelle aree tribali di amministrazione federale (FATA) in Pakistan, seguito dai 593 giorni nello Stato Rakhine del Myanmar e dai 551 giorni nel Jammu e Kashmir tra il 2019 e il 2021 dopo la revoca dello statuto speciale della regione. Gli autori del rapporto ammettono che per quanto riguarda l’India i dati sono imparziali a causa della scarsa trasparenza del governo. 

Le autorità locali hanno interrotto o rallentato l'accesso a internet, bloccato le piattaforme di comunicazione o interferito in altro modo con la condivisione di informazioni online durante periodi di alta tensione per reprimere il dissenso e mantenere il potere. Nel caso dell’India sono state indagate le discrepanze tra le ragioni addotte dal governo e le reali cause dei blocchi: per esempio, l’accesso alle reti è stato bloccato per questioni di “sicurezza nazionale” 80 volte, a detta del governo, quando in realtà si è trattato di instabilità politica. Un paio di volte internet è saltato in occasione di feste nazionali, una volta per “la visita di funzionari”, almeno quattro volte per impedire che gli studenti imbrogliassero agli esami, mentre in tutti gli altri casi si è trattato di soffocamento del dissenso o controllo delle informazioni condivise sui social (v. infografica).

La repressione in Myanmar è invece connessa al golpe militare del primo febbraio 2021 e all'attuale guerra civile: tra il 15 febbraio e il 28 aprile dell’anno scorso i militari golpisti hanno ridotto l’accesso a internet su base giornaliera quasi si trattasse di un coprifuoco. Protetti dall’oscuramento dei dati, i soldati dell’esercito hanno potuto intensificare le violenze contro i civili, usando proiettili di gomma ma anche munizioni vere e gas lacrimogeni contro i manifestanti. Il 3 marzo, durante un blackout nazionale, almeno 38 manifestanti sono stati uccisi in quello che l'inviato dell'Onu in Myanmar aveva denunciato come "il giorno più sanguinoso dal colpo di Stato". Nell’ex Birmania le connessioni vengono volutamente sospese per impedire che gli organi internazionali possano indagare sui crimini di guerra commessi dall’esercito: durante i blackout i militari hanno bruciate case, condotto attacchi aerei e sfollato migliaia di persone. I soccorritori, per non arrivare in ritardo, si affidano a messaggeri umani per sapere quando e dove intervenire per curare i feriti. In questo modo organizzazioni come Witness Myanmar non riescono a documentare le violazioni dei diritti umani ed è quasi impossibile raccogliere prove per un processo giudiziario internazionale.

Questi dati non solo mettono in luce le pratiche repressive degli Stati dell'Asia, in particolare l’India, che pure è considerata la più grande democrazia del mondo; anche i danni economici sono enormi: nella regione del Kashmir il blackout delle telecomunicazioni è durato 18 mesi, poi è arrivata la pandemia e diverse attività hanno chiuso. Molte persone rimaste senza lavoro hanno trovato occupazione nella cosidetta gig economy in qualità di rider, mentre le piccole attività indipendenti rimaste cercano di promuoversi attraverso i social, in particolare Instagram, per sopravvivere. Ma i blocchi di internet hanno fatto perdere grossi guadagni: l’applicazione di consegna di cibo a domicilio Gatoes per esempio, perde 1.000 dollari al giorno quando le connessioni vengono interrotte, che salgono a 9mila dollari al giorno per tutto il settore della ristorazione del Kashmir. Nel 2020 i blocchi di internet sono costati all'india 2,8 miliardi di dollari.