I cambiamenti climatici cancellano il patrimonio iracheno
di Dario Salvi

Tempeste di sabbia si susseguono con frequenza crescente, causando vittime e migliaia di ricoveri. Le riserve idriche sono crollate del 50% rispetto allo scorso anno. Entro il 2040 Tigri ed Eufrate rischiano il prosciugamento. La vicenda emblematica del lago Sawa. In pericolo anche i reperti e le città storiche, da Ur a Babilonia. 


Milano (AsiaNews) - L’Iraq, che si estende lungo quella che un tempo era conosciuta come l’antica Mesopotamia o Mezzaluna fertile, terra bagnata dal Tigri e dall’Eufrate e ricca di risorse, oggi è specchio emblematico della crisi legata ai cambiamenti climatici. Dall’aumento delle temperature al prosciugamento delle riserve, fino alle tempeste di sabbia che si abbattono con frequenza sempre maggiore - una emergenza anche sanitaria - i problemi si sommano con crescente intensità.

In poche settimane si sono registrati migliaia di ricoveri ospedalieri e almeno una vittima causati dalle ondate di polvere e sabbia che hanno coperto, come un manto, la capitale e altre zone del Paese, con ripercussioni sui trasporti e ripetute chiusure dell’aeroporto internazionale di Baghdad. Per meteorologi ed esperti, il fenomeno ha subito un incremento finora mai registrato ed è destinato ad aumentare in un futuro prossimo a causa della siccità, della desertificazione e del crollo delle precipitazioni, oggi ai minimi storici. Già nel 2016 esperti Onu del Programma ambientale (Unep) avevano previsto fino a 300 eventi all’anno legati a polvere e tempeste di sabbia.

Oltre a Baghdad, l’emergenza ha interessato sei delle 18 province del Paese, in particolare al-Anbar e la città santa di Najaf che, come la capitale, è stata coperta da una coltre spettrale di nuvole arancioni che hanno oscurato a lungo il cielo. Il portavoce del ministero iracheno della Sanità Seif al-Badr ha parlato di oltre 5mila richieste di intervento. Almeno 700 i soccorsi nella provincia di al-Anbar, più di 300 nella provincia centrale di Salaheddin, almeno un centinaio fra Diwaniya e Najaf.

Ricco di petrolio, e pur potendo contare sulla presenza dei due grandi fiumi mediorientali, l’Iraq è una delle cinque nazioni al mondo più vulnerabili ai cambiamenti climatici e alla desertificazione, che mettono in grave pericolo le coltivazioni e la sicurezza alimentare. Per gli esperti il pericolo di un “disastro sociale ed economico” è reale, mentre un rapporto del novembre scorso della Banca mondiale parlava di un crollo di oltre il 20% delle risorse idriche entro il 2050, con conseguenze devastanti per i 41 milioni di abitanti. 

La crisi idrica

“Le riserve di acqua sono a un livello ben più basso dello scorso anno, un valore di circa il 50% a causa delle scarse precipitazioni e per le quantità provenienti dalle nazioni vicine”. Le parole del consulente del ministero delle Risorse idriche Aoun Diab all’Afp sono più di un campanello di allarme, in una fase di “anni continuativi di siccità: 2020, 2021, 2022”. I livelli delle acque di Tigri ed Eufrate - fiumi condivisi con Iraq, Siria e Turchia - sono calati di molto negli ultimi anni e, se non verranno presi provvedimenti, secondo il ministero delle Risorse idriche entro il 2040 saranno entrambi quasi del tutto prosciugati. Un altro elemento di preoccupazione è “l’inquinamento delle acque legato al sistema fognario, alle fabbriche e ai laboratori, fino ai rifiuti ospedalieri” la cui gestione è critica come riferisce il portavoce del ministero Ali Radi. Vi è poi l’attività di nazioni dell’area come l’Iran, accusata dal ministro Mahdi Rashid al-Hamdani lo scorso anno di scavare tunnel e cercare di alterare il flusso delle acque, mentre è allo studio una causa alla Corte di giustizia internazionale contro Teheran.

Intanto il governo ha allo studio un piano per ridurre del 50% le colture invernali nelle aree irrigue. Vi è poi il retaggio delle guerre combattute negli anni, della cattiva gestione delle risorse e della corruzione: tutti elementi che hanno influito, a vario titolo, ad innalzare il livello di criticità, tanto che oggi servono investimenti da miliari di euro per rispondere all’emergenza. Secondo la Banca mondiale “lo stato attuale delle infrastrutture ha portato” a un innalzamento della salinità che oggi “colpisce circa il 60% dei terreni coltivati” con una “riduzione del 30-60% della resa”. L’attuale situazione di stallo politico ha bloccato il bilancio per l’anno corrente; vi è poi una regolamentazione insufficiente in materia di inquinamento, una cattiva gestione delle risorse esistenti e metodi agricoli inefficienti.

Il lago di Sawa

Il bacino è unico in Iraq ed è caratterizzato da un particolare valore di salinità, il più elevato fra quelli del Paese. Situato nei pressi del fiume Eufrate, poco più di 20 km a ovest della città di al-Saramawa, esso non ha immissari né emissari, ma attinge l’acqua dal fiume mediante uno strutturato sistema di fessure articolari che incanalano l’acqua nelle falde sottostanti. In passato, il livello ha oscillato nell’alternanza delle stagioni secche o umide, ma non si è mai davvero prosciugato grazie al delicato equilibrio fra alimentazione ed evaporazione. Tuttavia, la situazione è cambiata in modo radicale nell’anno in corso, fino a causarne la quasi totale scomparsa. Oggi, su una superficie sabbiosa cosparsa di sale resta solo un misero stagno dove nuotano minuscoli pesci, grazie a una sorgente che collega quel che resta del lago a una falda freatica sotterranea.

Largo un tempo oltre cinque chilometri, dal 2014 ha iniziato il processo di prosciugamento legato a “cambiamenti climatici e aumento delle temperature” come spiega Youssef Jabbar, capo Dipartimento ambientale della provincia di Muthana. Hotel e strutture turistiche, abbandonate, risalgono agli anni ‘90 del secolo scorso quando il bacino era circondato da rive sabbiose ed era meta ambita di sposi e famiglie per nuotare o fare un picnic. Oggi restano solo bottiglie vuote e sacchetti di plastica penzoloni fra gli arbusti bruciati dal sole: “Quest’anno, per la prima volta - conferma l’ambientalista Husam Subhi - il lago è scomparso” e al disastro hanno contribuito anche gli oltre 1.000 pozzi scavati illegalmente per sostenere l’agricoltura nella zona. Il lago Sawa non è l’unico in Iraq a dover fronteggiare i pericoli legati alla siccità e ai cambiamenti climatici. I social sono pieni di immagini di terreni aridi o solcati da crepe dovute a siccità, dalle paludi di Howiza nel sud, patrimonio mondiale Unesco, al lago Milh nella provincia centrale di Karbala.

Migrazioni e patrimonio culturale

La crisi idrica è uno degli elementi che traina la migrazione interna, perché agricoltori e pastori si vedono costretti ad abbandonare terreni e corsi d’acqua che non sono più in grado di sostenere le colture e il bestiame. Secondo le stime dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, solo nel 2019 più di 20mila iracheni hanno abbandonato case e terre per mancanza di acqua potabile. La crisi nelle riserve ha ripercussioni nel settore agricolo, petrolifero, implica l’acquisto all’estero dei beni e impatta sull’economia interna, con un aumento dei prezzi e dell’inflazione.

Senza cambiamenti significativi, il Pil iracheno potrebbe diminuire del 4% secondo la Banca mondiale. Tempeste di sabbia, mancanza di acqua e aumento della salinità rischiano infine di causare gravi danni al patrimonio culturale, con effetti anche su reperti, monumenti e antichità. Da Ur dei Caldei alla leggendaria Babilonia spiega Augusta McMahon, professoressa di archeologia della Mesopotamia all’università di Cambridge, la loro perdita “causerà lacune nella conoscenza dell’evoluzione umana, dello sviluppo delle prime città, nella gestione degli imperi e dei cambiamenti dinamici nel panorama politico dell’era islamica”.

Il sale nel terreno può aiutare gli archeologi in alcune circostanze, ma lo stesso minerale può anche essere devastante e distruggere il patrimonio. Nel frattempo, l’innalzamento del livello delle acque del mare potrebbe portare in meno di 30 anni a sommergere gran parte del meridione. “Immaginate - sottolinea il geo-archeologo Jaafar Jotheri, professore all’università al-Qadisiyah - che entro 10 anni la maggior parte dei nostri siti potrebbe essere ricoperta da un manto di acqua salata”. Un pericolo già reale a Babilonia, patrimonio Unesco, dove un velo di sale ricopre mattoni di fango di 2600 anni fa. Nel tempio di Ishtar, la dea sumera dell’amore e della guerra, le mura si stanno sgretolando.

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