Manila, Commissione elettorale nel mirino dopo il voto
di Stefano Vecchia

Proteste per lunghe attese e le disfunzioni nel funzionamento del sistema elettronico che non hanno però bloccato la rapidissima diffusione dei risultati delle urne. Il sindaco della capitale si riallinea con Marcos Jr invitando a disperdere le manifestazioni non autorizzate. Timori di un'ulteriore stretta illiberale nella direzione già imboccata negli anni di Duterte.


Manila (AsiaNews) - Se ancora tra i sostenitori persiste l’euforia per la vittoria di ampia misura di Ferdinand “Bongbong” Marcos nelle elezioni presidenziali di lunedì (e quella ancor più consistente della candidata alla vicepresidenza Sara Duterte, figlia del presidente uscente Rodrigo Duterte), Manila è anche palcoscenico dell’insoddisfazione per le le lunghe attese all’esterno dei seggi, le disfunzioni del sistema di voto elettronico, i ritardi nello spoglio e i presunti brogli denunciati.

Sotto tiro è la Commissione elettorale (Comelec), la cui sede nazionale è stata assediata da una folla di varia estrazione politica e provenienza unita dal rifiuto della vittoria, sebbene il divario da Marcos e la rivale alla presidenza Leni Robredo (oltre 16 milioni di voti) lasci poco spazio all’interpretazione sulla volontà degli elettori che gli hanno consegnato la presidenza per i prossimi sei anni con 31,1 milioni voti per i dati ufficiosi resi disponibili dal Comelec.

Dubbi vi sono anche sulla sorprendente rapidità della trasmissione dei risultati dai seggi nonostante il malfunzionamento di oltre 1.800 dispositivi elettronici di voto. Di “momento magico” ha parlato p. Robert Reyes, tra i molti filippini raccolti di fronte al Comelec il giorno dopo la consultazione elettorale a cui si sono uniti centinaia di studenti e attivisti di movimenti impegnati a garantire un voto libero da condizionamenti e chiaro nei risultati.

Le proteste, presenti anche in altre città, hanno spinto mercoledì il sindaco di Manila, Francisco “Isko Moreno” Domagoso a chiedere ai responsabili amministrativi e della sicurezza di “attuare rigidamente” il Batas Pambansa Bilang 880, un provvedimento che risale al tempo del governo dittatoriale di Ferdinand Marcos (padre del neoeletto presidente che entrerà in carica il 30 giugno) che consente raduni pubblici non autorizzati esclusivamente in aree selezionate. Una legge utilizzata con intento repressivo che per i suoi oppositori contrasta con il diritto d’assemblea e di libera espressione della protesta verso il governo garantito dalla Costituzione del 1987.

Una iniziativa, quella di Domagoso, lui stesso candidato candidato alla presidenza raccogliendo però meno di due milioni di preferenze, che sembra confermare i timori di un ulteriore sviluppo repressivo e illiberale dopo la discussa presidenza di Rodrigo Duterte. Dalla diffusione dei risultati ufficiosi è infatti in corso un riallineamento sulle posizioni del tandem Marcos-Duterte di varie personalità prima politicamente avversarie, ma ora disponibili a sostenere l’ "unità nazionale" a cui “Bongbong” Marcos ha chiamato dopo la vittoria.