Anche gli agricoltori indiani penalizzati dal divieto all'export di grano
di Alessandra De Poli

Inviando all'estero esportazioni record, i contadini stavano beneficiando degli alti prezzi sui mercati globali. I critici sostengono che il governo si ostini a non fare gli interessi delle fasce più povere. Pechino ha difeso Delhi di fronte alle critiche del G7.


Milano (AsiaNews) - Il divieto dell’India alle esportazioni di grano rischia di penalizzare (anche) gli agricoltori indiani. È l’altra faccia della misura adottata la settimana scorsa dal primo ministro Narendra Modi, che ha poi cercato di correggere il tiro dicendo che saranno evasi gli ordini per cui sono già state emesse lettere di credito irrevocabili. Altre spedizioni saranno concesse a Paesi che necessitano di “soddisfare esigenze di sicurezza alimentare” in base a valutazioni caso per caso e previa approvazione di Delhi. 

In realtà, spiegano gli economisti, il governo indiano ha invertito la rotta a seguito di un’impennata dell’inflazione, che ha superato l’8%. Le autorità locali hanno inoltre affermato che l’approvvigionamento interno non era mai stato così basso negli ultimi 15 anni: finora il governo ha comprato solo 18 milioni di tonnellate di grano per il fabbisogno interno contro gli oltre 43 milioni della stagione 2021.

Come è ormai noto, circa un terzo delle esportazioni globali di grano proveniva da Russia e Ucraina: dopo lo scoppio della guerra - e il blocco delle navi cariche di grano nel porto ucraino di Odessa - i prezzi del cereale sono aumentati di oltre il 60%. L’India era riuscita a colmare il vuoto lasciato dal blocco dell’export ucraino anche grazie a un raccolto eccezionale: al 31 marzo erano state esportate oltre 7 milioni di tonnellate per un valore di oltre 2 miliardi di dollari. Si tratta di un aumento del 275% rispetto all’anno precedente.

Il divieto alle esportazioni provocherà ora una nuova carenza di grano sui mercati internazionali, facendo aumentare ulteriormente i prezzi. In questo modo, non solo è a rischio la catena globale di approvvigionamento di alimenti, come ha sottolineato il World Food Programme delle Nazioni Unite, ma anche la sicurezza economica degli agricoltori indiani - che già rientrano nelle fasce più povere della popolazione - e che avrebbero tratto maggior beneficio con politiche di libero mercato. 

A novembre dell’anno scorso il governo indiano aveva ritirato le leggi di riforma del mercato agricolo dicendo di voler valorizzare i prodotti dei contadini indiani, ma non è quello che sta facendo Modi, sostengono i critici. L'economista Ashok Gulati, interpellato da The Indian Express, ha spiegato che se il governo fosse stato veramente preoccupato per l’inflazione, avrebbe potuto inserire un prezzo minimo all’esportazione o una tariffa: “Gli approvvigionamenti governativi sono diminuiti soprattutto perché gli agricoltori ottengono prezzi più alti vendendo il grano a commercianti privati ed esportatori. Se i bassi approvvigionamenti e l'esaurimento delle scorte pubbliche erano una preoccupazione, cosa ha impedito al governo di offrire un bonus di 200/250 rupie rispetto al prezzo minimo di sostegno (di 2.015 rupie al quintale) agli agricoltori? Se si facesse anche ora, gli agricoltori produrrebbero sicuramente più grano per il mercato interno. Il divieto di esportazione è una tassa implicita agli agricoltori".

Ogni anno il governo indiano stabilisce per i raccolti un prezzo minimo di sostegno (Mps), che è il prezzo al quale il governo decide di comprare determinati prodotti agricoli se il prezzo di mercato è inferiore. Ma in questo momento il prezzo del grano è del 10% superiore al Mps: in altre parole, con il divieto all’export gli agricoltori non potranno beneficiare delle condizioni favorevoli del libero mercato. È inoltre difficile prevedere come andrà il raccolto di quest’anno dopo due mesi di caldo torrido che ha fatto segnare temperature record di oltre 45°. Secondo gli esperti le stime di produzione andranno necessariamente riviste al ribasso: i più pessimisti ipotizzano un calo del 10%.

I membri del G7 hanno espresso “preoccupazione” per la decisione del governo Modi e gli Stati Uniti hanno chiesto alle  autorità indiane di “riconsiderare” la politica protezionistica. Mentre fonti governative in India hanno rinfacciato ai Paesi occidentali di “non essersi comportati diversamente con i medicinali e i vaccini” durante la pandemia, la Cina, primo produttore di grano al mondo davanti all’India, che ha da tempo adottato simili misure, ha invece difeso la scelta di Delhi.