La Commissione speciale istituita a Seoul ha terminato l'indagine per la beatificazione del vescovo Francis Hong Yong-ho e di altri 80 compagni uccisi dai comunisti negli anni Cinquanta. Le carte ora andranno a Roma alla Congregazione per le Cause dei santi. I vescovi coreani: "Nella dura realtà della divisione del Paese che continua ancora oggi il ricordo della loro testimonianza promuova la riconciliazione e l'unità".
Seoul (AsiaNews) – Con una cerimonia tenuta il 7 giugno la Conferenza episcopale della Corea ha concluso ufficialmente la raccolta delle testimonianze per la causa di beatificazione del vescovo di Pyongyang Francis Hong Yong-ho e di altri 80 martiri uccisi dalla persecuzione comunista durante gli anni della guerra di Corea (1950-1953). La causa riguarda il presule - imprigionato nel 1949 e da allora scomparso nel nulla - e con lui 49 sacerdoti, 7 religiosi e 25 laici torturati e uccisi nel periodo del conflitto.
Già dal 2008 la Conferenza episcopale aveva espresso l’intenzione di chiedere il riconoscimento del martirio di questi testimoni della fede. Nel 2014 era avvenuta l’apertura ufficiale del processo canonico, in forza del quale – con il nulla osta della Santa Sede – erano già divenuti ufficialmente servi di Dio. Dal 2017 a oggi una Commissione speciale istituita dalla Conferenza episcopale coreana sotto la giurisdizione dell’arcidiocesi di Seoul ha raccolto tutte le testimonianze disponibili su queste figure e le ha tradotte in inglese. Ora - sigillate in apposite scatole - queste carte andranno a Roma alla Congregazione per le Cause dei santi a cui spetta il compito di vagliarle.
Il vescovo Francis Hong Yong-ho (nella foto) era nato a Pyongyang nel 1906. Ordinato sacerdote nel 1933, fu nominato da Pio XII vicario apostolico dell’allora Heijō il 24 marzo 1944, ricevendo l’ordinazione episcopale nel giugno di quello stesso anno. Di lui non si sono avute più notizie dal 1949 quando fu arrestato dal regime di Kim Il-sung. Il 10 marzo 1962 papa Giovanni XXIII decise di elevare al rango di diocesi il vicariato di Pyongyang, anche in segno di protesta contro la politica del regime nordcoreano, e di nominare quale primo vescovo proprio mons. Hong, divenendo così un simbolo della persecuzione contro i cattolici nella Corea del Nord. Tra i servi di Dio di cui viene esaminato il martirio ben 49 erano dall’arcidiocesi di Seoul, mentre altri provenivano dalle diocesi di Gwangju, Jeju, Suwon, Incheon e Chuncheon. L’elenco comprende anche l’allora delegato apostolico in Corea, mons. Patrick James Byrne, missionario di Maryknoll.
Durante la cerimonia di chiusura dei lavori della Commissione speciale l’arcivescovo di Seoul mons. Peter Chung Soon-taick ha dichiarato: “Il vescovo Hong Yong-ho e i suoi compagni sono figure diverse dai martiri dell'era della persecuzione di 200 anni fa. Sono persone che hanno condiviso con noi la storia del XX secolo, sono davvero parte delle nostre vite. Hanno donato la loro vita per testimoniare ciò che conta".
Da parte sua il presidente della Conferenza episcopale coreana, mons. Mathias Ri Iong-hoon, vescovo di Suwon, ha aggiunto: “Nella dura realtà che stiamo ancora vivendo di un Paese diviso dove continuano la divisione tra il Nord e il Sud e i conflitti ideologici, spero sinceramente che la promozione della beatificazione di questi martiri serva da fondamento per promuovere la riconciliazione e l'unità”.