L'accoglienza di Nur-Sultan a papa Francesco
di Vladimir Rozanskij

Negli incontri ufficiali in Kazakistan il pontefice ha potuto subito rendersi conto dello sfarzo dei palazzi voluti da Nazarbaev per la capitale che ha cambiato cinque nomi nell'ultimo secolo. Le scritte in lingua kazaca in un Paese dove prevale tuttora il cirillico testimoniano come tutto sia ancora sospeso tra la discendenza imperiale russofona e il nuovo Paese turcofono annunciato dall’attuale presidente Tokaev.


Nur Sultan (AsiaNews) - Il viaggio di papa Francesco in Kazakistan è iniziato con l’arrivo nella capitale kazaca intorno alle 17,20 ora locale, dopo 5 ore e mezza di volo (divenute 10 sul fuso orario). L’aereo è atterrato dal lato presidenziale dell’aeroporto internazionale “Nursultan Nazarbaev”, chiamato col nome e cognome del padre-presidente postsovietico che ha concesso di chiamare così anche la città da lui ricostruita dal nulla, Nur-Sultan. La città detiene forse il record di cambiamenti nel proprio nome dell’ultimo secolo: era Akmolinsk sotto lo zar, Tselinograd in era sovietica, poi Akmola e Astana quando nel 1997 ha sostituito Alma-Ata come capitale dello Stato; ora si discute se cambiare di nuovo, essendo il vecchio capo piuttosto in declino.

Nel nulla senza fine della steppa settentrionale, Nazarbaev ha allestito in trent’anni di potere un’impressionante scenografia ultramoderna di palazzi e monumenti sgargianti, ponti e moschee, centri commerciali e piazze sterminate. Non ci sono problemi di spazio nell’ottavo Paese più esteso al mondo, il più grande senza sbocco sul mare, che a stento supera i 15 milioni di abitanti. Papa Francesco ha potuto subito rendersi conto dello sfarzo di corte, che era ancora in allestimento quando più di vent’anni fa era giunto qui il suo predecessore Giovanni Paolo II, nella prima storica visita papale in Asia centrale.

L’attuale pontefice, che da mesi ormai si sposta aiutandosi con la sedia a rotelle, è stato fatto scivolare dolcemente dall’aereo dentro la loggia d’arrivo degli ospiti di massimo rango, accolto dal presidente Tokaev e da uno stuolo di alti funzionari, protetti da una rete infinita di guardie a protezione dell’area completamente deserta, essendo l’edificio ben lontano dallo scalo dei passeggeri aeroportuali e da qualunque accesso di estranei. Dopo i primi convenevoli, distribuiti nella successione di sale e salette della loggia, la papamobile ha condotto Francesco all’Akorda, il mastodontico palazzo presidenziale che domina il centro della città, per un colloquio privato di cortesia con Tokaev.

In realtà, il tete-a-tete non è stato molto intimo, essendo il presidente kazaco sempre circondato da ministri, satrapi e giovani rampanti, come si conviene nelle residenze dei capi asiatici da tempi immemorabili. I kazachi, fieri eredi dei nomadi delle steppe e degli stessi tatari di Gengis Khan, si muovono sempre in massa come un sol uomo, e anche la preparazione della visita nei giorni precedenti è stata una processione ininterrotta di festosi e affollati sopralluoghi alle sedi delle varie tappe, dove ogni giorno si modificava la scenografia e si aggiungevano decorazioni, simboli e composizioni floreali, che il giorno successivo venivano sostituite con altri colori e accostamenti.

Dall’Akorda, il Cremlino kazaco, la delegazione papale si è poi spostata nella piazza di fianco, per incontrare i rappresentanti dello Stato, della società e del corpo diplomatico alla Qazaq Concert Hall, il salone delle rappresentazioni ufficiali, copia del Palazzo dei Congressi del Cremlino moscovita. Negli edifici ufficiali le scritte sono in lingua kazaca con lettere latine (Qazaqstan), riforma ancora da introdurre nel resto del Paese, dominato a tutt’oggi dal russo e dal cirillico: tutto è sospeso tra la discendenza imperiale russofona del Sovietistan di Nazarbaev, e il nuovo Paese turcofono e aperto al mondo intero che è stato annunciato dall’attuale presidente, trasformatosi da silenzioso delfino in ardente ricostruttore.

Alla fine della giornata il papa si è poi ritirato nella nunziatura, un anonimo edificio ampio e funzionale, che era stato allestito negli anni Novanta per ospitare il personale italiano di un cantiere edile. Quando arrivò Giovanni Paolo II nel 2001, si decise che era necessario uno spazio adatto da trovare in poco tempo, e l’edificio appena dismesso fu occupato in fretta e furia dal Vaticano, posando sul pavimento della cappella il simbolo papale “Totus Tuus”. Tutto il resto del seguito papale, a partire dal segretario di Stato Parolin e gli altri cardinali, prelati e collaboratori, sono alloggiati in un hotel adiacente alla nunziatura. I kazachi avevano molto insistito per sistemare anche il papa in una lussuosa reggia dentro un quartiere residenziale dei funzionari statali, ma Francesco ha preferito evitare sia il fasto sia l’eccessivo controllo, per vivere nella sobrietà che si addice alla piccola comunità cattolica kazaca, profezia di una Chiesa umile e povera nel mondo sterminato dei popoli e delle culture.

(foto Vatican News)