Papa ai leader religiosi: il sacro non sia il puntello del potere

Le parole di Francesco ai leader di ogni confessione riuniti da 50 Paesi a Nur-Sultan: "Le religioni non sono problemi, ma parte della soluzione a crisi che hanno radici spirituali. Non giustifichiamo mai la violenza". Il mondo vulnerabile lasciato in eredità dalla pandemia, la pace, l'accoglienza fraterna dei migranti, la custodia del creato indicate come sfide comuni per gli uomini di fede oggi.


Nur Sultan (AsiaNews) – “Il sacro non sia puntello del potere e il potere non si puntelli di sacralità”. Perché le religioni, oltre il pregiudizio inculcato proprio in queste terre da decenni di ateismo di Stato, possano tornare ad essere riconosciute come “condizione essenziale per uno sviluppo davvero umano e integrale”. È il messaggio che papa Francesco ha voluto consegnare questa mattina da Nur-Sultan ai leader religiosi che con lui partecipano alla conferenza interreligiosa promossa ormai da vent’anni dal governo del Kazakistan. Il pontefice ha parlato a una platea di oltre 100 delegazioni provenienti da 50 Paesi: seduti intorno allo stesso tavolo con lui c'erano personalità come il metropolita Anthonij - il “ministro degli Esteri” della Chiesa ortodossa russa -, il gran mufti russo Ravil Gaynutdin, il grand’imam di Al-Azhar Ahmed El-Tayeb, il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Teofilo III, i due rabbini capo d’Israele, l’askhenazita Rabbi David Lau e il sefardita Yitzhak Yosef, rappresentanti dell’induismo, dello shintoismo, dello zoroastresimo.

Proprio il ruolo delle religioni nella società è stato al centro del discorso del papa, che intervenendo alla sessione di apertura del meeting che si tiene nel Palazzo dell’Indipendenza di Nur-Sultan ha citato a più riprese i versi del poeta nazionale kazako Abai (1845-1904): “Qual è la bellezza della vita, se non si va in profondità?”. “È venuta l’ora - ha commentato Francesco - di destarsi da quel fondamentalismo che inquina e corrode ogni credo, l’ora di rendere limpido e compassionevole il cuore”. Ma è tempo anche di superare il “sospetto e disprezzo nei riguardi della religione, quasi fosse un fattore di destabilizzazione della società moderna. In questi luoghi - ricorda - è ben nota l’eredità dell’ateismo di Stato, imposto per decenni. In realtà, le religioni non sono problemi, ma parte della soluzione per una convivenza più armoniosa. La ricerca della trascendenza e il sacro valore della fraternità possono infatti ispirare e illuminare le scelte da prendere nel contesto delle crisi geopolitiche, sociali, economiche, ecologiche ma, alla radice, spirituali che attraversano molte istituzioni odierne, anche le democrazie, mettendo a repentaglio la sicurezza e la concordia tra i popoli”.

La libertà religiosa, dunque, come “diritto fondamentale, primario e inalienabile” da non limitare solo alla libertà di culto perché “relegare alla sfera del privato il credo più importante della vita priverebbe la società di una ricchezza immensa”. Proprio per questo, però, per papa Francesco le religioni oggi sono chiamate a raccogliere quattro grandi sfide globali. La prima è l’eredità lasciata dalla pandemia: “Sta a noi, che crediamo nel Divino - ha detto il pontefice agli altri leader religiosi - aiutare i fratelli e le sorelle della nostra epoca a non dimenticare la vulnerabilità che ci caratterizza: a non cadere in false presunzioni di onnipotenza suscitate da progressi tecnici ed economici, che da soli non bastano; a non farsi imbrigliare nei lacci del profitto e del guadagno, quasi fossero i rimedi a tutti i mali; a non assecondare uno sviluppo insostenibile che non rispetti i limiti imposti dal creato; a non lasciarsi anestetizzare dal consumismo che stordisce, perché i beni sono per l’uomo e non l’uomo per i beni”. E la strada è quella della cura dell’umanità in tutte le sue dimensioni, partendo dall’ascolto dei più deboli: “i poveri, i bisognosi che più hanno sofferto la pandemia, quanti, oggi ancora, non hanno facile accesso ai vaccini”, elenca il papa. Perché “il maggior fattore di rischio dei nostri tempi permane la povertà. Fino a quando continueranno a imperversare disparità e ingiustizie, non potranno cessare virus peggiori del Covid: quelli dell’odio, della violenza, del terrorismo”.

Accanto a questo la questione della pace: il papa ha ricordato quante volte in questi anni i leader religiosi si sono ritrovati per parlare di questo tema, “eppure, vediamo i nostri giorni ancora segnati dalla piaga della guerra, da un clima di esasperati confronti, dall’incapacità di fare un passo indietro e tendere la mano all’altro”. Per questo Francesco ha invitato gli uomini di fede per primi a “purificarsi dalla presunzione di sentirci giusti e di non avere nulla da imparare dagli altri; liberiamoci da quelle concezioni riduttive e rovinose che offendono il nome di Dio attraverso rigidità, estremismi e fondamentalismi, e lo profanano mediante l’odio, il fanatismo e il terrorismo, sfigurando anche l’immagine dell’uomo. Non giustifichiamo mai la violenza. Non permettiamo che il sacro venga strumentalizzato da ciò che è profano. Dio è pace e conduce sempre alla pace, mai alla guerra”. E ha indicato “gli unici mezzi benedetti dal Cielo e degni dell’uomo” per risolvere i conflitti: “l’incontro, il dialogo, le trattative pazienti, che si portano avanti pensando in particolare ai bambini e alle giovani generazioni”.

Un’altra sfida è poi quella dell’accoglienza fraterna: “Ogni giorno nascituri e bambini, migranti e anziani vengono scartati - ha osservato il papa -. Eppure ogni essere umano è sacro ed è compito anzitutto nostro, delle religioni, ricordarlo al mondo”. Un grande esodo alimentato da guerre, povertà, cambiamenti climatici, dalla ricerca di un benessere che il mondo globalizzato permette di conoscere, ma a cui è spesso difficile accedere è in corso. “Non è un dato di cronaca, è un fatto storico che richiede soluzioni condivise e lungimiranti. Certo, viene istintivo difendere le proprie sicurezze acquisite e chiudere le porte per paura. Ma è nostro dovere ricordare che il Creatore, il quale veglia sui passi di ogni creatura, ci esorta ad avere uno sguardo simile al suo, uno sguardo che riconosca il volto del fratello”. Tanti proverbi testimoniano il culto dell’ospitalità tra i popoli della steppa, che è fatta anche di compassione. “Sta a noi – ha aggiunto - insegnare a piangere per gli altri, perché solo se avvertiremo come nostre le fatiche dell’umanità saremo veramente umani”.

Infine l’ultima sfida, quella dalla custodia della casa comune: “Con cura amorevole l’Altissimo ha disposto una casa comune per la vita: e noi, che ci professiamo suoi, come possiamo permettere che venga inquinata, maltrattata e distrutta? Non è l’ultima sfida per importanza – ha ammonito il pontefice -. La mentalità dello sfruttamento che devasta la casa che abitiamo, porta a eclissare quella visione rispettosa e religiosa del mondo voluta dal Creatore. Perciò è imprescindibile favorire e promuovere la custodia della vita in ogni sua forma”.
“Cari fratelli e sorelle - ha concluso il papa rivolgendosi agli altri leader presenti - andiamo avanti insieme, perché il cammino delle religioni sia sempre più amichevole. L’Altissimo ci liberi dalle ombre del sospetto e della falsità; ci conceda di coltivare amicizie solari e fraterne, attraverso il dialogo frequente e la luminosa sincerità delle intenzioni”.