Beirut: ira e dolore per la peggior tragedia dei mari nel Mediterraneo orientale
di Fady Noun

Sono almeno cento le vittime, di cui 10 bambini, accertate del naufragio della “nave della morte” carica di migranti avvenuto il 23 settembre. Squadre di volontari ancora in cerca dei dispersi. A bordo vi erano circa 150 persone, solo 20 i sopravvissuti. I racconti disperati di quanti sono riusciti a mettersi in salvo. 


Beirut (AsiaNews) - La commozione sollevata nell’opinione pubblica libanese dal recente naufragio di una imbarcazione carica di migranti partita dal Libano, non si è ancora attenuata a distanza di giorni ed è fonte di ira e dolore al tempo stesso. Secondo l’agenza ufficiale siriana Sana, che cita fonti ospedaliere, un nuovo corpo è stato recuperato l’altro ieri al largo della città siriana di Tartus, dove si è verificato il dramma, portando a 100 il numero complessivo dei cadaveri rinvenuti in seguito all’affondamento. La marina siriana ha allestito una massiccia operazione di salvataggio in cerca di ulteriori superstiti e dei corpi delle vittime, che vengono poi trasportati all’ospedale Bassel della cittadina costiera, per essere identificati e rimpatriati.

Il bilancio di questo naufragio è il più mortale avvenuto nel Mediterraneo orientale, con solo 20 sopravvissuti finora soccorsi e recuperati, a fronte di almeno 150 passeggeri. Le persone a bordo della nave salpata dalla città di Tripoli (nord del Libano) erano in larga maggioranza libanesi, siriani e palestinesi. Secondo quanto afferma la direttrice regionale Unicef per il Medio oriente e il Nord Africa. Adèle Khodr, fra le vittime dell’affondamento si contano anche 10 bambini. 

Sulla cosiddetta “nave della morte”, come è stata soprannominata nel Paese dei cedri, si trovavano anche una quindicina di libanesi. Fra quanti sono scampati alla tragedia vi è Wissam al-Tallawi, un padre di famiglia che viveva proprio a Tripoli ed era originario di Akkar. I cadaveri delle due figlie, di cinque e nove anni, sono stati rimpatriati in Libano. La moglie di Tallawi e gli altri due figli maschi risultano ancora oggi dispersi. 

Tra i sopravvissuti troviamo anche un autista di taxi proveniente da Bab el-Raml, uno dei quartieri più poveri di Tripoli. Quando Moustafa Misto, questo il suo nome, ha deciso di tentare l’avventura con la famiglia non sognava altro che una sola cosa: di vivere in modo degno. Egli è morto in mare con i suoi tre bambini, solo la moglie è riuscita a sopravvivere all’ennesima tragedia. Moustafa ha pagato ai contrabbandieri quasi 5mila euro per adulto e la metà del prezzo per i suoi figli. E per farlo aveva ceduto la sua auto e preso in prestito del denaro dai suoi fratelli. Sua madre aveva persino venduto dei gioielli per poterlo aiutare.

Zein El-Dine Hamad, un giovane sposo e la moglie incinta si sono salvati solo grazie al passaggio di una motovedetta della marina russa. Al momento del naufragio, l’uomo aveva avuto il riflesso di gettarsi in acqua con la donna, prima che l’imbarcazione si ribaltasse. Sua moglie ha perso il bambino che portava in grembo, dopo una deriva di oltre 12 ore in mare, aggrappata a un pezzo del relitto dell’imbarcazione. “Il momento più difficile - ha detto l’uomo alla televisione Al-Jadid - è stato quando mia moglie ha iniziato a delirare e a chiedermi di comprarle una bibita gassata”. Egli ha poi aggiunto, con la voce rotta dalla commozione, che molti di quanti sono scampati all’affondamento hanno cercato di mettersi in salvo aggrappandosi ai detriti della nave, per poi lasciare andare la presa e affogare. Tutti i passeggeri che si sono ritrovati al di sotto dell’imbarcazione nel momento in cui si è ribaltata sono poi morti annegati.

Secondo diverse testimonianze, i passeggeri avrebbero implorato il pilota della nave di tornare indietro quando il motore si è rotto e il mezzo ha iniziato ad essere scosso dalle grandi onde che si abbattevano sullo scafo. Tuttavia, i contrabbandieri hanno recuperato un motore di scorta e lo hanno trasportato a bordo. Il pilota avrebbe persino ricevuto minacce di morte, se avesse cambiato rotta.

Il proprietario dell’imbarcazione, Bilal Nadim, è stato fermato per un interrogatorio. Secondo una nota dell’esercito diffusa oggi, l’uomo avrebbe confessato il suo coinvolgimento nella vicenda e ha confermato di essere a capo di una rete di trafficanti di immigrati dalla costa nord libanese. Sembra che abbia avuto un ruolo non solo nell’organizzazione di traversate illegali, ma anche nel commercio di droga, sfruttando il passaggio attraverso le coste settentrionali del Libano che risultano meno costose e complicate rispetto alla rotta turca. A questo proposito la giornalista Jana el-Douhaybi, citata dal quotidiano francofono L’Orient-Le Jour, parla di “crimine organizzato” che beneficia della complicità delle Forze dell’ordine locali. E questo spiegherebbe anche perché i contrabbandieri arrestati vengono troppo spesso rilasciati dopo pochi giorni.

L’ong libanese Legal Agenda afferma che il costo per il funzionamento di una nave di migranti si aggira fra i 30 e i 50mila euro circa a viaggio e il compenso per “capo” varia fra i 30 e i 40mila euro. Per gli attivisti quasi ogni giorno avviene un tentativo di attraversamento con partenza dal Libano, alla volta di Cipro o delle coste dell’Italia.

In ogni caso, questo naufragio è non solo il segno rivelatore dell’enorme profondità della crisi economica e finanziaria libanese, ma è anche simbolo di un “naufragio morale” dei suoi leader, impegnati un una corsa sfrenata al potere. E che hanno abbandonato al proprio destino la gran parte della popolazione, priva di ogni minima assistenza. 

Oggi tutti gli indicatori sociali vertono al rosso. Alcuni non si fanno più remore a rubare i cavi elettrici e i parapetti, per assicurarsi una fonte di guadagno. Secondo una testimonianza raccolta a Tripoli, un uomo ha venduto la ringhiera di ferro del suo balcone, per poter sostituire la sua bombola del gas. Interpellato dall’Afp, l’Alto commissario Onu per i rifugiati (Unhcr) Filippo Grandi ha bollato questo naufragio come “una nuova tragedia”. Egli ha quindi esortato la comunità internazionale a venire in aiuto per “migliorare le condizioni delle persone costrette a fuggire dal loro Paese, così come quelle delle comunità che le accolgono”. Il Libano ospita più di un milione di rifugiati siriani che sono fuggiti dalla guerra nella loro terra e il cui rimpatrio è ostacolato da questioni politiche regionali sollevate dalle stesse istituzioni internazionali, sebbene la gran parte del territorio siriano abbia ormai ritrovato la calma.