Nuovi scismi ortodossi nel Donbass
di Vladimir Rozanskij

Annessione russa di territori ucraini solleva il problema della giurisdizione ecclesiastica ortodossa. Non è scontato che chiese locali siano inglobate nel patriarcato di Mosca. Priorità alla ricostruzione dei luoghi sacri distrutti (dai russi).  


Mosca (AsiaNews) – Dopo l’annessione di quattro territori ucraini alla Federazione Russa, si pone ora il problema della giurisdizione ecclesiastica delle chiese ortodosse di queste regioni. Potrebbero venire inglobate d’ufficio nel patriarcato di Mosca, provocando però nuovi contrasti e divisioni in quello che già viene chiamato “lo scisma del Donbass”.

La Chiesa russa si trova per la seconda volta di fronte al dilemma della “annessione ecclesiastica”, dopo quella della Crimea nel 2014. Otto anni fa il patriarca Kirill ha scelto di non sottrarre a Kiev le eparchie e parrocchie della penisola, confidando nella fedeltà della giurisdizione “patriarcale” ucraina, e contestando in questo modo l’azzardo putiniano della “Crimea nostra”. Oggi il patriarcato è totalmente allineato al Cremlino, e gli ortodossi “moscoviti” dell’Ucraina hanno preso le distanze da Mosca in un sinodo a maggio, affermando la propria piena indipendenza ecclesiastica.

Le eparchie in gioco sono 9: Donetsk e Mariupol, Lugansk, Gorlov e Slavjansk, Berdjansk e Primorje, Rovenkov, Kherson e Tauride, Zaporožets, Novokhakovsk e Severodonetsk. In molte chiese di questi territori, già da tempo occupati dai russi, i sacerdoti si erano schierati con il patriarcato, ma altri si erano mantenuti su posizioni di attesa e riserbo. Oggi sono costretti a rapporti molto limitati con il capo della Chiesa Pzu (“Pravoslavnaja Zerkov Ukrainy”), a cui non si dovrebbe aggiungere più la sigla Mp (“Moskovskogo Patriarkhata”), guidata dal metropolita Onufryj (Berezovskyj) di Kiev, oggi in “terra straniera” dopo i referendum-farsa putiniani.

Se Kirill nel 2014 sembrava voler prendere le distanze da Putin, oggi è isolato per una “provvidenziale” infezione da Covid, su cui molti ironizzano per la coincidenza con i nuovi proclami imperiali di annessione. È nota la prevenzione quasi maniacale del patriarca dal coronavirus, da lui evitato per due anni, mentre ora è costretto al “regime di cure intensive” a letto, senza poter comunicare col mondo esterno.

Il portavoce del patriarcato Vladimir Legojda ha assicurato che “la Chiesa accoglie con rispetto la volontà del popolo e le sue scelte di appartenenza politica e nazionale”, senza chiarire il dettaglio della giurisdizione ecclesiastica: “Questa questione, se sarà posta, sarà affrontata dagli organi superiori dell’autorità ecclesiastica nei tempi che verranno stabiliti”. Un altro esponente del patriarcato, il protoierej Nikolaj Balašov, ha spiegato che ora “la priorità è la ricostruzione delle chiese distrutte”, quasi tutte a causa dei bombardamenti russi, il che non predispone i fedeli locali a una facile sottomissione all’autorità di Mosca.

Per ora la cura delle nove eparchie dei territori annessi sarà basata sui programmi umanitari di aiuto e ricostruzione. Non è chiaro neppure a chi sarà affidata la gestione in questo frangente: a marzo il patriarcato ha assegnato la responsabilità delle “strutture ecclesiastiche dell’estero vicino” al metropolita Pavel (Ponomarev), ex esarca di Minsk richiamato nel 2020 perché non abbastanza in linea con il presidente bielorusso Lukašenko. Secondo altri esponenti del patriarcato, la cura dei territori (ex) ucraini dovrebbe però essere in mano a un “gruppo di lavoro interdicasteriale” per le eparchie di “nuova acquisizione”, guidato dal metropolita Dionisij (Porubaj), moderatore della curia patriarcale moscovita.

Molto dipenderà dalle scelte delle stesse eparchie e parrocchie e del clero locale, secondo tradizioni locali che vedono frequenti oscillazioni nell’orientamento alle gerarchie superiori, come del resto avviene un po’ in tutto il mondo ortodosso. La piramide patriarcale nazionale, in realtà, non ha la stessa forza giuridica del papato romano per i cattolici, e spesso neppure quella delle conferenze episcopali e delle curie diocesane, e non è raro che le questioni si risolvano con assemblee locali, che spesso sfociano in accesi litigi e competizioni assai poco spirituali. Senza contare che ulteriori forzature da parte del patriarcato di Mosca potrebbero portare a un ancor più totale isolamento della Chiesa russa dal resto dell’Ortodossia mondiale.