Fondatore colosso microchip Tsmc: se Pechino vuole ‘benessere’ non invaderà Taiwan

Morris Chang: con una guerra tutti gli stabilimenti andrebbero distrutti. Se l’attacco contro l’isola riuscisse, i cinesi non potrebbero controllare la compagnia. Tsmc controlla il 53% del mercato mondiale dei chip. Nuovi divieti Usa all’export di semiconduttori un duro colpo per la Cina.


Taipei (AsiaNews) – Se la Cina vuole il “benessere economico” allora non invaderà Taiwan. Lo ha detto Morris Chang (v. foto), fondatore di Taiwan Semiconductor Manufacturing Company Ltd (Tsmc), il primo produttore mondiale di microchip, componenti chiave di tutte le tecnologie in circolazione.

Il riferimento di Chang è allo “scudo di silicio”: la dipendenza del mondo dalla produzione di semiconduttori, soprattutto quelli più avanzati, a Taiwan. Intervistato dalla statunitense Cbs nei giorni scorsi, egli ha spiegato che i cinesi non possono prendersi e nazionalizzare Tsmc, perché ciò implicherebbe una guerra e “tutto andrebbe distrutto”.

La Cina considera Taipei una “provincia ribelle” da riunificare, anche con l’uso della forza. La tensione tra le due sponde dello Stretto di Taiwan è salita ai primi di agosto dopo la visita sull’isola di Nancy Pelosi, speaker della Camera Usa dei rappresentanti. Diversi analisti militari sostengono che l’attacco potrebbe avvenire nel giro di cinque anni, quando la Cina si troverà ancora nel suo “picco” di potenza.

Come già sottolineato dall’attuale presidente di Tsmc, Mark Liu, una aggressione cinese a Taiwan bloccherebbe le attività della compagnia, creando un “grande disordine economico” sull’isola come in Cina. Liu spiega che Tsmc non può essere controllata con la forza. Data l’alta sofisticazione, i suoi impianti devono essere collegati in tempo reale con partner in tutto il mondo – Stati Uniti, Europa e Giappone su tutti – in modo da garantirsi materie prime, sostanze chimiche e pezzi di ricambio.

Tsmc controlla circa il 53% del mercato mondiale dei microchip. Le vendite in Cina rappresentano il 10-12% delle sue entrate: un valido deterrente per molti osservatori. In caso di conflitto, lo stop alla produzione di chip taiwanesi renderebbe inservibili le tecnologie più avanzate di Pechino, comprese quelle militari.

I produttori cinesi di microchip coprono solo una frazione del settore a livello globale, ma il 70% di quello domestico. Il tentativo di Xi Jinping di arrivare all’autosufficienza nel campo dei semiconduttori ha subito un duro colpo il 7 ottobre, dopo che l’amministrazione Biden ha imposto estesi controlli sulla vendita alla Cina di microchip prodotti da aziende statunitensi (o straniere con componenti made in Usa).

I cinesi sono ancora dipendenti dalle forniture hi-tech dagli Stati Uniti, senza le quali non possono sviluppare una propria industria (avanzata) di microchip.