Card. Ruini, il martirio di don Santoro dimostra l'esigenza della libertà di religione

Il sacerdote ucciso voleva "rendere presente Cristo" in Turchia. Il problema della reciprocità. Le condizioni per un eventuale insegnamento della religione islamica nelle scuole pubbliche.


Roma (AsiaNews) – Solo il pieno, reciproco riconoscimento del diritto alla libertà religiosa, unito al rispetto per le fedi ed i loro simboli, può evitare che si creino tensioni come quelle seguite alla pubblicazione delle vignette su Maometto, nel clima delle quali c'è stata l'uccisione di don Andrea Santoro, missionario in Turchia per "rendere presente Cristo in quelle terre". C'è anche un  lungo ricordo del sacerdote romano ucciso il 5 febbraio nella prolusione con la quale il cardinale Camillo Ruini, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha aperto oggi pomeriggio a Roma il lavori del Consiglio episcopale permanente.

Don Andrea, nelle parole del cardinale, "era convinto che una presenza di preghiera e di testimonianza di vita sarebbe stata segno efficace di Gesù Cristo e fermento di amore e di riconciliazione. Era consapevole di suscitare anche delle ostilità e di correre dei rischi, ma era sostenuto da un grande coraggio cristiano, quel tipico coraggio di cui, attraverso i secoli, tanti martiri hanno dato prova e che ha la sua radice nell'unione con Cristo, dal quale nemmeno la morte ci può separare (cfr Rom 8,31-38). Le parole pronunciate dalla sua anziana madre: 'La mamma di Don Andrea perdona con tutto il cuore la persona che si è armata per uccidere il figlio e prova una grande pena per lui essendo anche lui un figlio dell'unico Dio che è Amore', sono la corona di questo sacrificio".

Il card. Ruini, ricordando poi che l'uccisione di don Santoro "è avvenuta, quali che siano le sue concrete motivazioni, nel contesto di quella ondata di violenze che ha preso spunto dalle vignette offensive nei confronti dell'Islam pubblicate a fine settembre su un quotidiano danese, causando in numerosi Paesi molte vittime e distruzioni e coinvolgendo anche i rapporti tra l'Italia e la Libia", ha ripetuto quanto Benedetto XVI ha detto il 20 febbraio all'ambasciatore del Marocco. "La Chiesa cattolica resta convinta che, per favorire la pace e la comprensione tra i popoli e tra gli uomini, sia necessario e urgente che le religioni e i loro simboli siano rispettati, e che i credenti non siano oggetto di provocazioni che feriscono la loro condotta e i loro sentimenti religiosi. Tuttavia l'intolleranza e la violenza non possono mai giustificarsi come risposta alle offese, poiché esse non sono risposte compatibili con i principi sacri della religione: per questo non si può che deplorare le azioni di quanti approfittano deliberatamente dell'offesa causata ai sentimenti religiosi per fomentare atti violenti, tanto più che ciò avviene a fini estranei alla religione. Per i credenti come per tutti gli uomini di buona volontà, l'unica via che può condurre alla pace e alla fratellanza è quella del rispetto delle altrui convinzioni e pratiche religiose, affinché, in maniera reciproca in tutte le società, sia realmente assicurato a ciascuno l'esercizio della religione liberamente scelta".

La questione dei rapporti tra cristiani e islamici è stata affrontata poi dal cardinale Ruini sia in relazione ad alcune situazioni internazionale sia in rapporto ad un dibattito sorto in Italia sulla possibilità di un insegnamento scolastico della religione musulmana.

Sotto il profilo internazionale, il presidente della Cei ha parlato della Nigeria, "per la tendenza ad imporre la legge islamica in alcuni Stati di quella popolosa nazione, ma spesso anche per ragioni che non hanno a che vedere con la religione". "Le violenze – ha aggiunto - sono frequenti pure nelle Filippine, per non dire della difficile situazione dei cristiani in vari Paesi a dominanza musulmana, o anche retti da sistemi politici avversi alla religione: sono gravi e urgenti dunque i motivi per cercare di costruire, o ripristinare, forme di convivenza civile e di collaborazione, nel rispetto reciproco e nel riconoscimento sincero della libertà di religione. Le stesse nazioni occidentali sono chiamate a prestare più grande e concreta attenzione a queste problematiche, nelle quali sono in gioco fondamentali diritti umani".

Quanto infine alla discussione su un eventuale insegnamento della religione islamica nelle scuole pubbliche, il cardinale ha sostenuto che "in primo luogo vale per tutti il diritto alla libertà religiosa e in linea di principio non appare impossibile l'insegnamento della religione islamica. Occorre però che ricorrano alcune fondamentali condizioni, che valgono nei confronti di ogni insegnamento nelle scuole pubbliche italiane: in particolare che non vi sia contrasto nei contenuti rispetto alla nostra Costituzione, ad esempio riguardo ai diritti civili, a cominciare dalla libertà religiosa, alla parità tra uomo e donna e al matrimonio". "Bisognerebbe inoltre assicurarsi che l'insegnamento della religione islamica non dia luogo di fatto a un indottrinamento socialmente pericoloso".

"Non regge, in ogni caso – ha concluso il cardinale - il paragone con l'insegnamento della religione cattolica", dato che esso per l'Accordo di revisione del Concordato tra Italia e Santa Sede ha tra le sue motivazioni il fatto "che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano". (FP)