Buddisti russi divisi sulla guerra con l’Ucraina
di Vladimir Rozanskij

Alcuni monaci hanno benedetto volontari e mobilitati al fronte; altri condannano l’offensiva putiniana. Il buddismo ha decine di migliaia di seguaci in tutto il Paese. Il credo ammette la difesa della popolazione dalle minacce esterne.


Mosca (AsiaNews) – Tra i buddisti di Russia è in corso un delicato dibattito sulla liceità della guerra, che sembra contraddire gli insegnamenti della religione, come si evince dalle contraddittorie dichiarazioni di alcuni alti esponenti delle comunità locali. Se il capo della Sangha (comunità) tradizionale dei buddisti di Buriazia, Damba Ajušeev, ha benedetto i volontari e i mobilitati al fronte con le parole “Buddha è con noi!”, il capo dei buddisti della Calmucchia Telo Tulku Rinpoče ha condannato l’operazione militare in una recente intervista.

Lo storico Andrej Terent’ev, caporedattore della casa editrice buddista Nartang, ha pubblicato un articolo sulla Nezavisimaja Gazeta sul tema “se i buddisti possono andare i guerra”, ricordando che lo Stato teocratico buddista del Tibet, a suo tempo, aveva in effetti un proprio esercito. “Tutti sanno però che il buddismo è una dottrina sull’amore e sulla pace, in cui la privazione della vita di un altro essere umano è considerata l’azione più negativa”.

Oltre ai buriati, ai calmucchi e ai tuvini, abitanti delle tre repubbliche a maggioranza buddista della Federazione Russa, il buddismo oggi ha decine di migliaia di seguaci in tutto il Paese, anche senza legami con le origini etniche. Terent’ev ricorda gli insegnamenti dei “cinque voti” che stanno alla base della religione buddista, iniziando dal principio che “non si può giustificare la guerra come semplice risultato delle azioni passate, cioè del karma”. Lo stesso Buddha fece tutto il possibile per evitare guerre e conflitti, cercando di impedire gli spargimenti di sangue.

Il karma è per i buddisti la causa principale di ogni avvenimento, ma “esso non è onnipotente, e basandoci sulla moralità nel prendere decisioni possiamo superare anche le tendenze del karma”, ricorda lo specialista, perché “il karma non è un fatalismo, che è estraneo al buddismo”. La disciplina etica inizia proprio con il divieto di uccidere, non soltanto evitando azioni criminali, ma anche rifiutando di spingere altri a compiere tali azioni, come del resto s’impone anche per gli altri quattro comandamenti: non rubare, non mentire, non compiere azioni impure, non bere.

Per i monaci le regole sono ancora più severe, e valgono per tutti i rami del buddismo, sia il Theravāda tradizionalista dell’Asia meridionale sia il più diffuso Mahāyāna del Sutra del Loto, la scuola predominante anche tra i buddisti russi. Quest’ultimo aggiunge anche lo sviluppo del “Bodichitta”, la compassione con tutte le creature per raggiungere il livello del Buddha stesso, senza dividere le persone in proprie ed estranei, amici e nemici, e senza la quale non si può parlare veramente di fede buddista.

Terent’ev ricorda però che “il buddismo ammette la diversità di vedute, e alcuni dubitano delle affermazioni canoniche del pacifismo”, ricordando un articolo del 2014 a firma dell’autorevole monaco Usa Bhikkhu Bodhi sulla necessità per i governi di difendere la popolazione dalle minacce esterne, come durante la Seconda guerra mondiale in seguito alle invasioni hitleriane. In questi casi “la fedeltà al karma non significa rimanere passivi di fronte a una crudele aggressione, e le azioni belliche sono ammissibili”.

In Russia sembra anche diffondersi l’opinione che solo i monaci avrebbero l’autorizzazione a combattere, avendo il cuore più puro dei fedeli laici, e quindi vivendo la necessaria difesa del popolo senza alimentare l’odio criminale dell’assassinio. La guerra si deve fare “conservando lo spirito della compassione, senza alimentare l’ostilità verso gli esseri viventi”, e comunque, conclude lo storico del buddismo, “bisogna cercare ogni possibile soluzione alternativa alla guerra”.