Onu: contro la tortura in Cina, cambio radicale nei tribunali e nella polizia

Manfred Nowak, investigatore capo dell'Agenzia Onu sulle torture, conferma l'uso "diffuso della tortura in tutta la Cina" e chiede il "rilascio immediato di chi è in carcere per aver esercitato il diritto alla libertà religiosa o di parola".


Pechino (AsiaNews/Scmp) – Per fermare l'uso della tortura "diffuso in tutta la Cina", Pechino deve compiere dei cambiamenti radicali all'interno del suo sistema giudiziario e poliziesco. Lo afferma Manfred Nowak, investigatore capo dell'Agenzia Onu sulle torture, nel nuovo rapporto sui crimini commessi nelle carceri cinesi, pubblicato il 10 marzo e reso pubblico ieri sul sito delle Nazioni Unite.

L'investigatore chiede l'immediata sospensione delle condanne a morte per i crimini economici e non violenti, l'abolizione delle leggi sulla sicurezza nazionale "sempre più generiche" che vengono usate contro i dissidenti e l'immediato rilascio di coloro che sono stati arrestati per aver esercitato il loro diritto alla libertà religiosa o di parola.

Per Nowak, prima autorità dell'Onu a visitare le carceri cinesi in 15 anni, "la polizia di tutta la Cina" è solita torturare i sospettati di crimini anche di poco conto nel corso degli interrogatori: per fermare questa pratica, è "essenziale che l'uso di video-registrare questa fase divenga una consuetudine". I giudici di ogni corte cinese, inoltre, "dovrebbero sempre chiedere pubblicamente agli indagati se sono stati maltrattati dagli agenti". Pechino, infine, "deve rendere pubblici e consultabili gli elenchi ufficiali di coloro che vengono messi a morte e le sentenze che lo provano".

L'inviato Onu aveva già espresso queste impressioni dopo la sua visita, avvenuta nel novembre scorso, ma era stato duramente criticato da Pechino: "La Cina - aveva detto il 6 dicembre Qin Gang, portavoce del ministero cinese degli Esteri – ha bandito dal 1996 l'uso della tortura e punisce chi la commette, anche nella polizia. Nowak è stato qui solo due brevi settimane ed il suo rapporto è evidentemente di parte".

Molti avvocati cinesi e gruppi per i diritti umani sostengono invece che intimidazioni e torture – fisiche e psicologiche – sono comuni "prima, durante e dopo gli interrogatori, i processi, la detenzione nelle carceri e nei campi di lavoro".

Un caso molto pubblicizzato dai media di tutto il Paese conferma tutto questo: lo scorso aprile un uomo, condannato all'ergastolo per l'omicidio della moglie, è stato liberato dal carcere dopo 11 anni di reclusione. La donna, infatti, era semplicemente scappata e dopo aver saputo della sorte del marito è riapparsa ed ha testimoniato per la sua liberazione. Il suo avvocato ha confermato, come aveva denunciato nel corso del processo, che l'uomo era stato torturato dalla polizia per estorcergli la confessione del crimine mai avvenuto.