P. Rifat: libertà di missione e Gerusalemme nell’incontro fra il papa e re Abdullah

Ieri i “cordiali colloqui” fra Francesco e il monarca hascemita, per il quinto incontro in meno di 10 anni. La “comune preoccupazione” per la città santa e per la permanenza dei cristiani nella regione mediorientale. Il problema della povertà e della disoccupazione post-pandemia e il turismo religioso per sostenere l’economia. 


Amman (AsiaNews) - Proseguire nel cammino del dialogo interreligioso, preservare la presenza cristiana in Medio oriente e garantire “libertà” alla missione della Chiesa nel Paese, elementi “sottolineati” nel comunicato della Santa Sede, ma “assenti” nella dichiarazione di Amman. Sono questi i punti essenziali del faccia a faccia di ieri in Vaticano fra papa Francesco e il re di Giordania Abdullah II, “il quinto” per il pontefice regnante come sottolinea ad AsiaNews p. Rifat Bader, direttore del Centro cattolico di studi e media (Ccsm). Un incontro, come i precedenti, in cui “al centro vi è Gerusalemme e i luoghi santi” prosegue il parroco, la cui situazione è “fonte di comune preoccupazione per il papa e per il monarca”, che è per tradizione “il protettore” dell’area per musulmani e cristiani. “Anche la Santa Sede - aggiunge - ha rimarcato il ruolo degli Hascemiti”.

Il sacerdote di origini giordane, nato ad al-Wahadneh nel 1971, osserva come il Vaticano abbia rivendicato la necessità di “fare missione in piena libertà”, un aspetto fondamentale per “garantire, rafforzare e proteggere” la presenza cristiana. Sono passati quasi 10 anni dalla conferenza “Le sfide dei cristiani arabi in Medio Oriente”, tenutasi ad Amman dal 3 al 5 settembre 2013, e molte vicende hanno determinato un ulteriore esodo: lo Stato islamico (SI, ex Isis) in Siria e Iraq, le guerre, le migrazioni che hanno causato “la perdita di quasi due milioni di cristiani in Medio oriente”. Anche il Abdullah, prosegue p. Rifat, “nutre questa preoccupazione” e intende operare per “conservarne l’identità” nella regione, perché “proteggere i cristiani significa anche proteggere al tempo stesso l’intero Medio oriente”. 

Nella dichiarazione finale a conclusione dei “cordiali colloqui” la Santa Sede ha ribadito la “necessità di continuare a sviluppare il dialogo interreligioso ed ecumenico, garantendo sempre che la Chiesa cattolica in Giordania possa esercitare liberamente la propria missione”. La nota fa poi riferimento alla “questione palestinese e al tema dei rifugiati”, oltre a garantire la “necessità di continuare a preservare lo status quo nei Luoghi Santi a Gerusalemme, luogo di incontro e simbolo di coesistenza pacifica”. L’agenzia ufficiale giordana Petra ha rimarcato il tema della convivenza e del dialogo interreligioso, uniti al bisogno di “sbloccare il processo di pace in Medio oriente”. Quest’ultimo punto resta il “presupposto per la sicurezza e la stabilità” anche a Gerusalemme, che è la “chiave” per “raggiungere la pace nella regione”. 

“Nella città santa - osserva p. Rifat - sono rimasti solo 6mila cristiani e questo è fonte di sofferenza. Anche il papa e il re si sono mostrati preoccupati. Il loro incontro, che segue il viaggio del pontefice in Bahrein, sono una spinta ulteriore a rafforzare le relazioni, soprattutto nel mondo arabo e del Golfo con il quale si è aperta una porta”. La Giordania, prosegue, “resta un modello per il dialogo interreligioso e l’ecumenismo”, ma ha bisogno di aiuti e sostegno per proseguire nell’opera di accoglienza dei tanti rifugiati, anche cristiani, che nel regno hascemita hanno trovato riparo. “Anche e soprattutto oggi, in cui la Giordania vive una fase di guarigione dopo aver sofferto molto per la pandemia di Covid-19. Tuttavia, molte famiglie - conclude il sacerdote - soffrono per la povertà e la disoccupazione, molti progetti aspettano di essere sbloccati e va sostenuto il turismo, in particolare quello religioso che è un contributo essenziale all’economia del Paese”.