I giovani cinesi non vogliono lavorare in fabbrica

Preferiscono piccoli lavori all’impiego noioso e malpagato nell’industria manifatturiera, cuore pulsante del miracolo economico nazionale. Più dell’80% delle imprese di settore hanno problemi di manodopera. Si punta all’uso di robot o al trasferimento delle attività all’estero per mandare avanti la produzione.


Pechino (AsiaNews) – Non vogliono lavorare in fabbrica. Lo trovano noioso, pericoloso per i continui incidenti, sfiancante per le lunghe ore di impiego e soprattutto malpagato. È la risposta dei giovani cinesi sul perché non intendano prendere il posto dei genitori nel cuore pulsante del miracolo economico cinese: l’industria manifatturiera.

L’idiosincrasia per il lavoro operaio in Cina fa il paio con il rifiuto dei giovani europei di accettare lavori usuranti, come quello in campagna. Le nuove generazioni cinesi preferiscono fare lavoretti come le consegne a domicilio, oppure si iscrivono a corsi post-universitari sognando un “comodo” lavoro statale.

Il fenomeno è un problema per un Paese in crisi economica, la peggiore dalle politiche di apertura e riforma. Estesi lockdown per il Covid-19, la depressione del mercato immobiliare e la stretta regolamentare imposta da Xi Jinping alle industrie private, soprattutto quelle hi-tech che più attraggono i giovani, hanno depresso la crescita del Pil, dato quest’anno ai livelli più bassi dal 1990 – se si esclude il 2020, anno dello scoppio della pandemia.

Secondo uno studio riportato dalla Reuters, più dell’80% delle fabbriche cinesi ha problemi di manodopera. Il ministero dell’Educazione prevede che nel 2025 mancheranno 30 milioni di lavoratori alle industrie del settore. Numeri impressionanti, tenuto conto che la disoccupazione giovanile (16-24 anni) oggi nel Paese è attorno al 18%.

Invece di lavorare alla catena di montaggio, le nuove leve scelgono di restare a casa, aggravando il costo del bilancio familiare. Sono gli “sdraiati”: giovani che fanno il minimo indispensabile nei loro impieghi o nello studio, stanchi delle estenuanti ore di attività, i crescenti costi dei consumi e i prezzi proibitivi delle abitazioni. Un atteggiamento passivo, visto dalle autorità come una minaccia ai grandi piani di “rinnovamento nazionale” voluti da Xi.

Si prospettano tempi duri per le aziende manifatturiere cinesi. Dati governativi spiegano che entro cinque anni la Cina perderà 35 milioni di adulti in età di lavoro: un calo che non si arresta dal 2012. Le imprese nazionali sono preoccupate per la mancanza di un ricambio generazionale, sia in termini di forza fisica sia per la necessità di avere personale con competenze tecnologiche più avanzate.

La sostituzione dei pensionati con robot e l’automazione è considerata anti-economica in un momento di recessione globale. Escluso poi che minimi aumenti dei salari possano invogliare i giovani ad accettare il lavoro in fabbrica, molti imprenditori in Cina – soprattutto stranieri – spostano la produzione in Vietnam, Thailandia e India.