Manila, portare il tavolo della fratellanza in carcere: la missione di suor Zenaida Cabrera
di Alessandra De Poli

Religiosa delle Servants of the Holy Eucharist, ha dedicato oltre 20 anni ai detenuti delle Filippine. Ad AsiaNews racconta che con la presidenza Marcos qualcosa sta cambiando, ma è ancora presto per dare un giudizio definitivo. Nell'arcipelago il tasso di incarcerazione è di 200 persone ogni 100mila abitanti.


Milano (AsiaNews) - Qualcosa è cambiato nelle Filippine dopo l’arrivo alla presidenza di Ferdinand Marcos jr, “ma non possiamo ancora dire se la situazione stia migliorando: è troppo presto e non conosciamo la sua agenda politica”, racconta ad AsiaNews suor Zenaida Cabrera, della congregazione delle Servants of the Holy Eucharist (SHE) e coordinatrice del programma di assistenza ai detenuti della Caritas.

Dopo sei anni di “guerra alla droga”, lanciata dall’ex presidente Rodrigo Duterte, che secondo molti osservatori con la scusa di combattere la tossicodipendenza ha preso di mira poveri, emarginati e oppositori, uccidendone migliaia e incarcerandone altrettanti, sembra che la sicurezza, dentro e fuori dalle carceri stia migliorando. “Osserviamo le nuove politiche e capiamo che collaborazione ci può essere con la Chiesa”, afferma con cautela suor Zeny, come si fa chiamare la religiosa. “Il nostro Ministero di giustizia riparativa della Caritas è direttamente collegato alle agenzie governative perché le persone che aiutiamo si trovano in istituti correttivi, quindi lavoriamo con la polizia, il Bureau of Corrections e il Bureau of Jail Management and Penology (Bjmp)”.

Secondo un rapporto di Amnesty International del 2019, nelle Filippine sono almeno 215mila i cittadini che si trovano in prigione, con un tasso di 200 persone incarcerate ogni 100mila abitanti. E a novembre - solo per citare l’ultimo caso - nella prigione di New Bilibid, a Muntinlupa, a sud della capitale Manila, sono stati ritrovati oltre 170 cadaveri di prigionieri. Al momento sono in corso le indagini da parte del Dipartimento di giustizia per stabilire le responsabilità del reato.

“I funzionari e i direttori delle prigioni sono stati sostituiti - spiega la suora, che lavora nelle carceri da oltre 20 anni -. Alcuni stanno facendo del loro meglio per ottenere la fiducia della gente e piano piano molte persone vengono rilasciate, anche a causa del sovraffolamento delle carceri". 

“Siamo riuscite a reclutare come volontari anche alcuni membri della polizia penitenziaria”, afferma suor Zeny con gioia e soddisfazione. Tuttavia la situazione non è ancora del tutto tornata alla normalità: “Prima della pandemia facevamo visite ai detenuti almeno una volta a settimana fornendo corsi di formazione per prepararli a reintegrarsi in società una volta scontata la pena”.

Poi con l’arrivo del Covid-19 le suore e i volontari hanno dovuto interrompere i loro programmi, che in alcune strutture non sono ancora ripresi: “Non possiamo ancora entrare negli edifici di massima sicurezza, ma stiamo rientrando in altri complessi”. A dicembre per esempio la Caritas ha potuto condurre programmi di sostegno alimentare in prigioni di media e bassa sicurezza.

Il tavolo della fratellanza è un tema ricorrente a cui suor Zeny fa riferimento per parlare del suo lavoro con i carcerati, reso possibile grazie al sostegno dell’arcidiocesi di Manila e delle singole parrocchie con cui collaborano le consorelle delle Servants of the Holy Eucharist, di base nella diocesi di Novaliches, e attive in diversi centri di detenzione: “Il nostro carisma è di preparare la tavola del Signore per i carcerati secondo la cultura del ‘salu-salo’, la tradizione filippina di passare del tempo insieme a tavola con gli amici e la famiglia”, prosegue la religiosa. “Vogliamo dare loro una seconda possibilità per tornare alla vita come riflesso di Dio. La nostra vocazione è educarli facendo loro capire che sono anche loro esseri umani meritevoli di amore e noi speriamo che possano tornare alla loro famiglia e alla loro comunità come figli di Dio”. 

“I detenuti sentono di essere lontani dal loro ambiente naturale e non hanno sostegno materiale e morale”, spiega suor Zeny. “Sperimentano umiliazione e rigetto da parte delle famiglie e sono preoccupati per il futuro dei loro familiari. La detenzione porta tristezza, malattia o morte”.

I programmi di giustizia riparativa della Caritas si basano invece sulle “3R”: recuperare, riabilitare e reintegrare. “L’assistenza ai carcerati spesso non rientra nei budget di governo, per cui i prigionieri fanno affidamento alla carità dei volontari e delle loro stesse famiglie, che però nella maggior parte dei casi sono molto povere. È per questo che l’aiuto delle parrocchie e dei volontari è fondamentale”.

311152033_1334666807069169_262654554583670980_n.jpg