Il generale golpista diventato primo ministro ha dovuto cambiare formazione per poter partecipare alle prossime elezioni, previste a maggio. Ha detto di aver presentato la candidatura per "proteggere" la Thailandia e per "senso del dovere". L'opposizione contesta la sua figura e gli ultimi risultati elettorali.
Bangkok (AsiaNews) - Per senso del dovere e per “completare il suo lavoro”: sono le ragioni che hanno spinto l’ex generale golpista e poi – in abiti civili - premier, Prayut Chan-ocha, a presentare ieri la propria candidatura per un nuovo mandato. Per farlo ha però dovuto cambiare partito, passando dal Palang Pracharath (che lui stesso aveva contribuito a creare nel marzo 2018 per dare legittimazione ai militari), al neonato Partito della nazione thai unita (Ruam Thai Sang Chart). A lui si sono poi uniti diversi politici di spicco provenienti dallo stesso Palang Pracharat, ma anche dal Partito democratico e altri.
Nel suo discorso, il 68enne Prayut ha ancora una volta confermato di non volere aspirare al potere o di cercare benefici per sé, ma – secondo una consolidata prassi nazionalista – per il “dovere di proteggere questa sacra terra e di conservare i tre pilastri di nazione, religione (buddhista) e monarchia”. Serve quindi un nuovo mandato per portare a termine la sua “missione incompiuta” che intende completare “indipendentemente da quanto difficile o da quanto stress potrà provocare”.
“Tutto quello che ho fatto – ha ribadito l’ex generale – è per un futuro sostenibile. Non lascerò nessuno indietro fino a quando non lascerò il Paese alla prossima generazione”.
Negli oltre otto anni alla guida della Thailandia e dei suoi 66 milioni di abitanti, Prayut ha superato diversi voti di sfiducia in Parlamento senza mai cedere alle proteste di piazza dell’opposizione, che non gli riconosce legittimità, lo considera incapace di gestire il Paese e garante di un establishment che tutela gli interessi della monarchia, delle Forze armate e dell’oligarchia.
Già a capo della repressione contro la rivolta delle Camicie rosse tra aprile e maggio 2010, alla guida della giunta militare dopo il colpo di Stato del 22 maggio 2014 e poi premier eletto da un’Assemblea nazionale senza mandato popolare, è rimasto al potere anche dopo le elezioni del 2019 che per i suoi avversari sono state organizzate in modo da consentirgli la vittoria.
Le speranza di una sua uscita di scena immediata si sono infrante quando il 30 settembre la Corte costituzionale ha sentenziato che i primi tre anni al potere, quelli come capo della giunta militare, non devono essere contati negli otto di mandato concessi dalla Costituzione (approvata sotto il controllo militare nel 2016). Di conseguenza, se rieletto alle elezioni previste per il 7 maggio, Prayut potrà al massimo restare in carica per metà mandato.