Papa Francesco da Juba: basta conflitti, è ora di costruire

Il pontefice è giunto in Sud Sudan, seconda tappa del suo viaggio apostolico in Africa. Insieme al primate anglicano e al moderatore della Chiesa di Scozia compirà in questi giorni un pellegrinaggio di pace per dare voce al grido di un altro popolo dilaniato dalla guerra civile. Il monito alle autorità: "Questa gente ha bisogno di padri, non di padroni". Il ricordo dei missionari uccisi che "trovano la morte mentre seminano la vita".


Juba (AsiaNews) - “Si getti alle spalle il tempo della guerra e sorga un tempo di pace”. Dal Sud Sudan, la seconda tappa del suo viaggio apostolico in Africa, altra terra lacerata da una dolorosa guerra civile, papa Francesco ha lanciato questo pomeriggio un nuovo forte appello alla fine dei conflitti che attraversano il mondo di oggi. Lo ha fatto forte di un segno che caratterizzerà i tre giorni che vivrà in questo giovane Paese dell’Africa, indipendente dal 2011 ma in questi anni comunque dilaniato dalla violenza: la presenza insieme al pontefice del primate anglicano Justin Welby e del moderatore della Chiesa di Scozia, il pastore Iain Greenshields. Pellegrini di pace insieme, in un cammino ecumenico in un altro Paese a maggioranza cristiana eppure ugualmente insanguinato da una guerra che - nonostante la mediazione in cui Francesco stesso in prima persona è stato impegnato in questi anni - fatica ancora a comporsi.

“Non sono giunto qui da solo - ha spiegato il pontefice a Juba - perché nella pace, come nella vita, si cammina insieme. Ci presentiamo a voi e a questo popolo nel nome di Gesù Cristo, Principe della pace”. Insieme il papa, l’arcivescovo di Canterbury e il pastore della Chiesa di Scozia, davanti alle autorità riunite nel giardino del palazzo presidenziale con in prima fila il presidente Salva Kiir Mayardit (con cui Francesco ha avuto un lungo colloquio a porte chiuse appena giunto a Juba) e il vice-presidente Riek Machar – i due grandi protagonisti di questo conflitto - hanno dato voce al “grido di un intero popolo che, con grande dignità, piange per la violenza che soffre, per la perenne mancanza di sicurezza, per la povertà che lo colpisce e per i disastri naturali che infieriscono”.

“I figli del Sud Sudan hanno bisogno di padri - ha ammonito il papa - non di padroni; di passi stabili di sviluppo, non di continue cadute. Gli anni successivi alla nascita del Paese, segnati da un’infanzia ferita, lascino il posto a una crescita pacifica”. Ricorda la parola chiara di Gesù nel Getsemani di fronte a un suo discepolo che aveva sfoderato la spada: “Basta” (Lc 22,51). La invoca “senza ‘se’ e senza ‘ma’”. “Basta sangue versato - spiega - basta conflitti, basta violenze e accuse reciproche su chi le commette, basta lasciare il popolo assetato di pace. Basta distruzione, è l’ora della costruzione”.

Con un richiamo che dovrebbe suonare uguale anche per tanti altri Paesi di ogni continente, il papa a Juba ricorda il significato più pieno del dirsi res publica, come ha fatto il Sud Sudan proclamandosi indipendente nel 2011. “Non basta chiamarsi Repubblica, occorre esserlo, a partire dai beni primari: le abbondanti risorse con cui Dio ha benedetto questa terra non siano riservate a pochi, ma appannaggio di tutti, e ai piani di ripresa economica corrispondano progetti per un’equa distribuzione delle ricchezze”. E poi la sfida della democrazia, che presuppone “il rispetto dei diritti umani, custoditi dalla legge e dalla sua applicazione, e in particolare la libertà di esprimere le proprie idee. Occorre infatti ricordare che senza giustizia non c’è pace, ma anche che senza libertà non c’è giustizia”.

Chiede di voltare pagina: “il processo di pace e di riconciliazione domanda un nuovo sussulto”. Questo pellegrinaggio ecumenico - che nel mondo di oggi “costituisce una rarità", annota - rappresenti "un cambio di passo, l’occasione, per il Sud Sudan, di ricominciare a navigare in acque tranquille, riprendendo il dialogo, senza doppiezze e opportunismi”. Indica la via dell’incontro, oltre “la memoria non risanata di ferite, umiliazioni e torti”; “accogliere gli altri come fratelli e dare loro spazio, anche sapendo fare dei passi indietro”. Chiede di puntare sui giovani e sulle donne.

Ricordando i primi missionari giunti sul Nilo, invita a rivolgere il pensiero a quelli che “purtroppo trovano la morte mentre seminano la vita. Non dimentichiamoli e non ci si dimentichi di garantire a loro e agli operatori umanitari la necessaria sicurezza, e alle loro opere di bene i necessari sostegni, affinché il fiume del bene continui a scorrere”.

Ma il grande fiume può anche esondare, provocando disastri come avvenuto da queste parti anche recentemente. “Le calamità naturali raccontano un creato ferito e sconquassato - commenta - che da fonte di vita può tramutarsi in minaccia di morte. Occorre prendersene cura, con uno sguardo lungimirante, rivolto alle generazioni future. Penso, in particolare, alla necessità di combattere la deforestazione causata dall’avidità del guadagno”. Indica nuovamente l’impegno per la lotta alla corruzione, “che fa mancare le risorse necessarie a ciò che più serve", a partire dal contrasto alla povertà e al soccorso ai milioni di sfollati che qui dimorano. Chiede che sia arginato l’arrivo delle armi: “qui c’è bisogno di molte cose, ma non certo di ulteriori strumenti di morte”.

“So che alcune mie espressioni possono essere state franche e dirette - conclude il pontefice - ma vi prego di credere che ciò nasce solo dall’affetto e dalla preoccupazione con cui seguo le vostre vicende, insieme ai fratelli con i quali sono venuto qui, pellegrino di pace. Desideriamo offrire di cuore la nostra preghiera e il nostro sostegno affinché il Sud Sudan si riconcili e cambi rotta, perché il suo corso vitale non sia più impedito dall’alluvione della violenza, ostacolato dalle paludi della corruzione e vanificato dallo straripamento della povertà”.

PapaSudSudan.jfif