Kuala Lumpur moltiplica le espulsioni di profughi birmani
di Steve Suwannarat

Secondo alcuni dati diffusi da Human Rights Watch almeno 2000 respinti lo scorso anno. Nella stragrande maggioranza si tratta di Rohingya che avevano cercato rifugio nel Paese. La Malaysia non è tra i Paesi firmatari della Convenzione sui rifugiati e dopo la pandemia è cresciuto il malcontento dell'opinione pubblica locale verso l'accoglienza. 


Kuala Lumpur (AsiaNews) - La Malaysia sta diventando un Paese sempre meno accogliente per chi fugge dal Myanmar. Dopo essere stato a lungo un rifugio indispensabile per chi cerca salvezza nella fuga all’estero dalla repressione militare e dal conflitto con le milizie etniche che in Myanmar hanno provocato finora quasi 3mila morti, adesso si susseguono retate e espulsioni.

Secondo Human Rights Watch, da aprile a ottobre dello scorso anno almeno 2.000 cittadini birmani sono stati costretti al rientro senza che venisse accolta la loro richiesta di protezione; altri sono stati internati o addirittura incarcerati. Preoccupazione è stata espressa anche dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur/Unhcr) che ha chiesto  lo stop immediato dei rimpatri coatti sollecitando le autorità malaysiane a “rispettare i loro obblighi legali internazionali e assicurare il pieno rispetto dei diritti di chi necessità della protezione internazionale”..

Se è vero infatti che la Malaysia non ha aderito alla Convenzione sui Rifugiati del 1951 e al suo Protocollo e se la legge locale non fa distinzione tra profughi e migranti senza documenti regolari, per l’Unhcr il diritto internazionale proibisce che le persone vengano rimandate nei Paesi di provenienza dove sono a rischio di persecuzione o di altre violazioni dei diritti umani.

Vero è che, nonostante il governo guidato da Anwar Ibrahim sia tra i più accaniti sostenitori di un tavolo di trattativa tra giunta birmana e le opposizioni, non è riuscito finora in questo intento coordinato con gli altri Paesi membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (Asean) di cui anche il Myanmar fa parte. D'altro canto cresce la pressione dell’opinione pubblica - cresciuta fortemente durante la pandemia - riguardo alla presenza nel Paese di 183mila profughi, all’86% provenienti dal Myanmar e in maggioranza di etnia rohingya. Condizioni che l’esecutivo uscito dalle recenti elezioni politiche non può ignorare.

Finora non sono state tenute in considerazione le alternative proposte, come un documento identificativo distribuita dall’Unhcr che, pur senza valore legale, “potrebbe ridurre il rischio di arresto e consentire un accesso limitato ai servizi sanitari, all’istruzione e a sevizi di sostegno essenziali”. Allo stesso modo, altri servizi indirizzati a garantire maggiore sicurezza e migliore qualità della vita porrebbero essere forniti dallo stesso Commissariato o da altri enti.

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