L’Ortodossia russa e la religione militante
di Stefano Caprio

La dimensione ecclesiastica appare sempre più secondaria nell’esaltazione del “Mondo Russo”, che indica il popolo e l’impero più delle liturgie e delle mitre vescovili. Dappertutto si imprime su bandiere, magliette e meme digitali, lo slogan “Siamo russi, Dio è con noi!" che lo zar Nicola I volle come grido della Russia nella guerra di Crimea a metà dell’Ottocento.


È trascorsa ormai una settimana dal settimo anniversario dello storico incontro tra il papa Francesco e il patriarca Kirill all’aeroporto dell’Avana, il 12 febbraio 2016, ma nessuna delle due Chiese ha ritenuto opportuno ricordarlo in alcuna occasione. Fino al 2021 si erano tenuti per la circostanza dei convegni in sedi alternate tra Europa e Russia, l’ultimo on-line sulla pandemia, oggi gli incontri sono rari e improbabili, con la muta presenza del metropolita Antonij di Volokolamsk in qualche appuntamento comune, senza che si riprenda un vero dialogo neppure sulle possibilità di agire insieme per la pace.

Proprio nella prospettiva di avviare finalmente delle trattative per la cessazione della guerra in Ucraina, il papa stesso ha ormai messo da parte ogni possibile convergenza con il patriarca, puntando decisamente sui vertici politici. Tornando dal viaggio in Africa il 5 febbraio, Francesco ha ribadito di essere "aperto" a incontrare i presidenti di tutte e due i Paesi al centro del conflitto, Zelenskyj e Putin. "Se io non sono andato a Kiev è perché non è possibile per il momento andare a Mosca, ma chiedo il dialogo", ha voluto chiarire il pontefice. Secondo il russo Leonid Sevastjanov, il papa gli avrebbe scritto che “vorrebbe tanto venire a Mosca e discutere con il presidente Putin sulle possibilità di regolare la contrapposizione tra la Russia e l’Occidente”, come ha dichiarato a Ria Novosti il 15 febbraio.

Sevastjanov è il presidente dell’Unione dei Vecchio-Credenti, una formazione scismatica dell’Ortodossia russa che ha sempre professato la superiorità della fede e delle tradizioni dei russi su tutte le altre, comprese quelle delle altre Chiese ortodosse. Egli è in realtà anche uno storico collaboratore del patriarca Kirill, che lo accolse come seminarista quando era metropolita a Smolensk, pur provenendo da una famiglia scismatica, e lo inviò perfino a studiare all’università Gregoriana di Roma, dove nel 2002 ha ottenuto la licenza in filosofia politica. Ha poi completato la sua formazione alla Georgetown University di Washington, con un dottorato sulle relazioni internazionali. Il suo rapporto di confidenza con papa Francesco si basa sull’ammirazione del pontefice per la moglie Svetlana Kasyan, una cantante lirica e popolare, che si è recata più volte a visitare il papa a Roma insieme a tutta la famiglia.

Non si tratta quindi di affabili letterine di cortesia: la corrispondenza col papa è una forma di “diplomazia parallela” da parte di un esperto di politica internazionale (Sevastjanov è anche consulente della Banca Mondiale), uomo di fiducia del patriarca e dello stesso presidente Putin, che ha espresso più volte la sua vicinanza alla comunità dei Vecchio-Credenti. Gli scismatici seicenteschi, perseguitati da tutti per secoli, oggi esprimono in qualche modo l’anima profonda del cristianesimo russo, almeno nella versione radicale e militante che sta prevalendo sempre più su quella canonica ed “ecumenica” della Chiesa patriarcale. Si ribadisce con questi messaggi che i russi vorrebbero arruolare anche il papa di Roma nella grande restaurazione di un cristianesimo tradizionalista e intransigente, che in generale ben poco si addice alla personalità di Jorge Mario Bergoglio, se non nel desiderio di contrastare il dominio politico e culturale dell’Occidente filo-americano, la vera motivazione dell’aggressività dei russi.

Si impone sempre più dalla Russia una variante del cristianesimo politico e “popolare”, la cui portata va ben al di là della guerra con l’Ucraina e delle pretese di riunificazione delle varianti storiche del popolo russo. L’impatto sull’opinione pubblica internazionale è tale da rendere quasi insignificante la notizia dell’ascesa del nuovo capo di Al-Qaida, l’egiziano Saif Al-Adel, addestratore dei terroristi che attaccarono le Torri Gemelle di New York nel 2001, il simbolo del radicalismo religioso per un ventennio, oggi sostituito dai “martiri russi” benedetti dal patriarca per la guerra in Ucraina. E in realtà la stessa figura del patriarca Kirill, e degli altri gerarchi dell’Ortodossia russa, sbiadisce sempre più a confronto dei proclami propagandistici della politica e dei vertici militari.

La dimensione propriamente ecclesiastica appare sempre più secondaria, nell’esaltazione dell’Ortodossia del “Mondo Russo”, che indica il popolo e l’impero più delle liturgie e delle mitre vescovili. È una riedizione della “triade zarista” che proclamava come principi fondamentali “ortodossia, autocrazia e popolarismo”, mettendo la religiosità all’ultimo posto, come un accessorio decorativo. Dappertutto si imprime sulle bandiere, ma anche sulle magliette e sui meme digitali, lo slogan “Siamo russi, Dio è con noi!" (My russkye, c nami Bog!) in cui Dio è al servizio dei russi, e non il contrario. È lo slogan che fu imposto fin dalla campagna svizzera del generalissimo Suvorov nel 1799, e che proprio lo zar della “triade”, Nicola I, volle che fosse il grido della Russia nella guerra di Crimea a metà dell’Ottocento, l’operazione militare che più ha ispirato la guerra attuale. Anche l’impero germanico nato in quel periodo, del resto, volle appropriarsi dello slogan “Gott mit uns!”, e nella prima guerra mondiale russi e tedeschi combatterono tra loro confidando entrambi nel sostegno divino, sempre ammesso che si stesse parlando dello stesso dio.

Un poeta russo del periodo di Nicola I, Petr Vjazemskij, scrisse allora una poesia sarcastica dal titolo “Il dio russo”: “Vi serve una spiegazione / su chi sia il dio russo? / è un dio delle tempeste, dio delle voragini… dio degli affamati, dio dei congelati / il dio di chi non ce l’ha fatta / eccolo qui, il dio russo”, e conclude con “il dio degli stranieri vaganti / che si presentano alla nostra porta / soprattutto il dio dei tedeschi / eccolo qui, il dio russo”. I “tedeschi” (nemtsy) indicano tutti gli stranieri, coloro che sono “muti” (nemye) perché non hanno la parola (slovo), appannaggio soltanto degli slavi, in un insieme di giochi di parole che vuole condannare la pretesa di essere gli unici “veri credenti” dell’universo.

Nella nuova costituzione putiniana del 2020 si volle ufficialmente introdurre il nome di Dio nella legge fondamentale, con l’espressione della “memoria dei nostri padri, che ci hanno trasmesso gli ideali e la fede in Dio”, anche qui ridotta ad accessorio, e al di fuori dell’influsso diretto del patriarcato, che non ebbe praticamente voce in capitolo nella riscrittura del testo. Come scrive la rubrica Signal di Meduza, “non è stata la Chiesa a venire incontro al Cremlino, ma il Cremlino a entrare in chiesa”. Tutti i sondaggi e le statistiche confermano che il 70-80% dei cittadini russi che si professa ortodosso intende la fede più che altro come una dimensione simbolica dell’ideologia di Stato. Di questa quasi totalità della popolazione di etnia russa, più della metà non ha mai messo piede in chiesa, come risulta da un’indagine del centro Levada del 2022, solo il 27% crede nella resurrezione e nell’aldilà, oltre il 70% non ha nessuna intenzione di osservare i digiuni, precetto fondamentale della devozione tradizionale ortodossa. Lo stesso patriarca Kirill ha più volte confermato che la fede ortodossa è anzitutto “eredità dei padri”, al più “fondamento spirituale della nostra civiltà, del mondo russo”.

Tali affermazioni vengono da più parti tacciate di eresia, sia da parte di teologi ortodossi, che cattolici e protestanti. Bisogna chiarire di quale eresia si tratti, in realtà. Nell’Ottocento il patriarcato di Costantinopoli aveva condannato il “filetismo”, cioè la pretesa dell’autonomia nazionale della Chiesa, attribuito ai greci di Atene e ai bulgari; in seguito l’autocefalia etnica è diventata la norma dell’intera Ortodossia, che oggi conta 15 Chiese nazionali, e lo stesso patriarca Bartolomeo di Costantinopoli ha voluto forzare nel 2018 l’approvazione del Tomos di autocefalia per l’Ucraina, suscitando le ire di Mosca. Il patriarcato moscovita, del resto, aveva per primo aperto la strada alle Chiese nazionali, imponendosi come la Terza Roma a fine Cinquecento.

Ancora nei giorni scorsi, i vescovi cattolici tedeschi Peter Kohlgraf (direttore di Pax Christi) e Franz-Josef Overbeck (vescovo di Essen e ordinario militare) hanno commentato le posizioni del patriarca Kirill, chiamandole “ciniche e depravate” dal punto di vista sia religioso che morale, per aver esaltato il martirio dei soldati russi, “inviati al fronte come carne da cannone”. L’eresia nazional-imperialista viene quindi aggravata dalla giustificazione della guerra e del sacrificio umano, riportando a visioni medievali.

Forse dovremmo interrogarci non soltanto sulle deviazioni dell’Ortodossia russa, ma sulla diffusione sempre più incontenibile della “religione politica” a tutte le latitudini. Dall’Islam radicale alla Turchia neo-ottomana, i teo-con americani e il pentecostalismo intransigente, l’induismo e il buddismo al servizio della politica, perfino la sacralizzazione del comunismo cinese: è questa la religione del XXI secolo?

 

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