Delhi, leader religiosi alla Corte suprema: no ai matrimoni omosessuali
di Nirmala Carvalho

Il 18 aprile in programma la prima udienza sulla richiesta di legalizzazione avanzata da gruppi di attivisti. Il governo ha già espresso posizione contraria, pur ammettendo varie forme di unione nella società. In una lettera al presidente della Corte suprema e al capo dello Stato i rappresentanti di diverse fedi chiedono di bocciare il testo. 


Delhi (AsiaNews) - Un movimento trasversale di leader e denominazioni religiose in India si schiera contro la legalizzazione dei matrimoni fra persone delle stesso sesso nel Paese, definendola una “aggressione” che è fonte di “grande preoccupazione” per la “società umana”. Il tema è dibattuto da tempo, tanto che nel 2013 era intervenuto in materia pure il card. Oswald Gracias; tuttavia, esso è tornato di stretta attualità in queste settimane perché il 18 aprile è in programma la prima udienza davanti ai cinque giudici della Corte suprema, che si pronunceranno sulla richiesta di legalizzazione avanzata da gruppi di attivisti. 

Nel 2018 Delhi ha depenalizzato l’omosessualità, cancellando una norma di era coloniale britannica sul sesso gay. Per la comunità LGBTQ+ indiana il via libera ai matrimoni sarebbe un ulteriore passo in avanti in tema di riconoscimento dei diritti e delle libertà. Sul tema il governo del premier Narendra Modi si è già espresso a inizio mese confermando la ferma opposizione al riconoscimento delle nozze fra persone dello stesso sesso e chiedendo ai giudici di respingere l’istanza. Pur ammettendo varie forme di unione nella società, anche fra omosessuali, il matrimonio per l’esecutivo resterebbe appannaggio solo di famiglie e relazioni eterosessuali “con un marito, una moglie e dei bambini” come afferma in una nota il ministero della Giustizia. 

Già 10 anni fa si era espresso il card. Gracias, spiegando che “la Chiesa cattolica non è mai stata contraria alla decriminalizzazione dell'omosessualità, perché non abbiamo mai considerato i gay dei criminali” ma si oppone “alla legalizzazione dei matrimoni gay”. Resta salvo il principio che gli omosessuali, aveva aggiunto il porporato, “hanno la stessa dignità di ogni essere umano” e va condannata “ogni forma di ingiusta discriminazione, persecuzione o abuso”. 

Oggi sulla questione tornano diversi leader religiosi, con una lettera aperta inviata al presidente della Corte suprema Dhananjaya Y Chandrachud e alla presidentessa indiana Droupadi Murmu. nella missiva affermano che qualsiasi tentativo di dare una riconoscimento legale al matrimonio omosessuale causerebbe il completo caos nel sistema giuridico e nella struttura sociale. La Comunione delle Chiese in India esprime “riserve” in materia, sintetizzate nella lettera al capo dello Stato del segretario esecutivo Prakash P Thomas. “Nella fede cristiana - osserva il matrimonio è istituzione divina fatta da Dio. Non possiamo accettare l’unione di due omosessuali come matrimonio. Pertanto chiediamo […] di garantire lo status quo”. Il gran muftì dell’India Sheikh Abubakr Ahmad ricorda che “ogni forma di unione” al di fuori di quella matrimoniale fra uomo e donna “è contro la legge naturale e inammissibile”. “Qualsiasi tentativo - avverte - di fornire protezione legale alle relazioni omosessuali è un attacco alle preoccupazioni più ampie della società umana”. Fra quanti hanno sottoscritto la lettera vi è infine il religioso gianista Acharya Lokesh Muni, che definisce “inappropriato” il riconoscimento legale delle unioni omosessuali. “In India vi è diversità - ricorda - ma nella cultura indiana e nel gianismo in particolare il matrimonio è base per l’avanzamento del lignaggio familiare. Legalizzare il matrimonio omosessuale - conclude - sarà dannoso per la millenaria cultura indiana basata sulla tradizione”.