La Settimana autentica della Russia
di Stefano Caprio

In queste ore in cui la Pasqua latina e la Settimana Santa ortodossa si intrecciano con la guerra, viene alla mente quando i filosofi della “rinascita dell’idea russa” come Florenskij, Berdjaev e Bulgakov contrapponevano la falsa verità ideologica dell’intelligentsija all'autenticità della Chiesa, che annuncia la redenzione cristiana.


Mentre i cattolici celebrano la Santa Pasqua, la Chiesa Ortodossa entra nella Settimana Santa, per vivere a propria volta i più grandi misteri della fede cristiana, la morte e la resurrezione di Gesù, una settimana dopo i latini, secondo i diversi calcoli del calendario, che a volte, come accadrà il prossimo anno, portano anche alla coincidenza delle celebrazioni. La settimana è chiamata in vari modi, secondo tradizioni liturgiche e popolari più o meno antiche: Grande e Santa, Bella (Krasnaja), Rossa o “del Sangue” (Červonaja) e anche Istinnaja, “vera” o “autentica” come nel rito latino ambrosiano, il più influenzato dalle tradizioni orientali. La differenza dei calendari ha fatto celebrare agli ortodossi anche l’Annunciazione il 7 aprile, una festa che nel rito bizantino va ricordata anche quando coincide con la Pasqua, accentuando il bisogno di rivelazione del mistero divino.

Dopo oltre un anno terribile di guerra e lacerazione con il mondo intero, la Russia si pone quindi di fronte alla Istina, all’autenticità della propria vita spirituale e nazionale, proclamata con cannoni e missili nella sfida alla “menzogna dell’Occidente”. Ai tempi sovietici si esaltava la Pravda, la “verità ideologica” più di quella metafisica e religiosa, indicata dal termine più elevato. Ai tempi della rivoluzione bolscevica, i filosofi della “rinascita dell’idea russa” come Florenskij, Berdjaev e Bulgakov contrapponevano la falsa pravda dell’intelligentsija, che sosteneva la rivoluzione, alla vera istina della Chiesa, che annuncia la redenzione cristiana.

Il patriarca di Mosca cerca quindi di ribadire l’autenticità della fede ortodossa russa, messa in discussione nel resto dal mondo dall’esplicito e insopportabile sostegno ecclesiastico alla guerra, ciò che ha suscitato molti dubbi proprio sulla sua fedeltà alla vera tradizione cristiana. Kirill, al secolo Vladimir Gundjaev, 77 anni di San Pietroburgo, è un uomo che ha attraversato le lunghe nebbie dell’ateismo di Stato, figlio e nipote di sacerdoti perseguitati, poi collaboratore fedele di tutti i regimi, e ha cercato in ogni modo di attingere alle fonti originali della Sacra Scrittura e della teologia, rappresentando per molti anni l’anima più colta e “dialogante” della Chiesa russa, fin dai tempi del comunismo.

Nell’imminenza della Settimana Santa, il patriarca ha pubblicato un nuovo libro, La Pasqua: Cristo ci ha donato la vita eterna. In esso si racconta della Festa delle Feste, la santa Pasqua, “nel contesto degli avvenimenti globali” con i quali l’umanità ha dovuto scontrarsi negli ultimi anni. Egli si pone domande che toccano certamente l’autenticità dell’esperienza cristiana contemporanea: come può oggi il cristiano costruire rettamente la propria traiettoria di vita? Come prepararsi all’incontro con il Salvatore risorto? Come rispondere alle sfide dei nostri tempi? Kirill cerca di offrire delle risposte, ricordando che “anche le circostanze più drammatiche del nostro tempo, nella prospettiva dell’eternità che ci viene donata, perdono la loro forza malevola”.

Ciò che più lascia perplessi, di fronte a una personalità come quella del patriarca russo, è proprio il tentativo di tenere insieme la “forza malevola” e la “prospettiva dell’eternità”, l’ideologia sovietico-ateista e la custodia delle tradizioni religiose, la follia imperialista del “mondo russo” con la rinascita religiosa nel mondo secolarizzato. Questa ambiguità, che è l’esatto contrario della istina, caratterizza molti gerarchi della Chiesa russa, i metropoliti e i vescovi, provenienti dal monachesimo, molto più che del semplice clero parrocchiale, fatto da uomini sposati meno condizionati dalle teorie, e più vicini alle sofferenze e alle contraddizioni della gente comune. E sono proprio i prelati dell’Ortodossia a fare da modello per gli stessi politici russi, dallo zar Putin al tetro Lavrov, l’ebbro Medvedev e il minaccioso Prigožin, tutti impegnati a presentare una realtà diversa da quella che si vede e si prova sulla propria pelle.

In una omelia di qualche giorno fa, il patriarca ha commentato il vangelo sul potere e la ricchezza, in cui Gesù cerca di convincere i discepoli che “chi vuole diventare grande tra voi sarà il servo di tutti”. Kirill ricorda che “la ricchezza è ciò a cui l’uomo tende, con cui spesso si intrecciano i progetti e gli scopi di tutta la vita… ma il Signore non rifiuta la ricchezza, e nemmeno il potere, e le due cose spesso sono sinonimi”. Solo che il messaggio del Vangelo “parla di tutt’altro”, non incita alla grandezza secondo le misure umane, ma “deve aiutare gli uomini che vogliono stare al potere, e non disdegnano la ricchezza”, a capire che queste cose non portano automaticamente alla caduta nell’inferno: quello che conta è il modo con cui si usano le leve del potere e dei soldi.

E allora questa “saggezza divina superiore”, spiega la guida spirituale dei russi, deve “essere considerata in modo speciale oggi dal nostro popolo, dalla nostra società, dal nostro Stato”, perché oggi “la Russia è diventata veramente uno Stato potente, capace di rispondere alle sfide e alle minacce rivolte contro di esso… il popolo diventa più forte, e molte persone diventano più ricche”. Bisogna fare in modo che questo “non ci faccia girare la testa, facendoci pensare di essere più grandi di ciò che siamo”, ma imparando a “usare la ricchezza per il bene delle persone, perché la ricchezza è un dono di Dio, non è una proprietà del singolo”.

Si ricordano così le “tante opere di bene” fatte dai ricchi mercanti della Russia antica, che spesso “dimenticavano il proprio interesse, e la loro bontà ha creato la potenza economica della Russia”. La stessa Kiev, città-madre della Rus’, nacque per sviluppare il commercio della via dai Variaghi ai Greci, la motivazione storica della nascita del nuovo Stato alla fine del primo millennio. Il patriarca conclude che “il benessere del popolo assicura la sua sicurezza, la sua indipendenza e la sua libertà”.

Il succo della predicazione patriarcale è che i ricchi oligarchi devono oggi mettere tutto a disposizione dello Stato, in un’economia che ha sfruttato le contraddizioni della guerra, con enormi guadagni dall’oscillazione dei prezzi energetici, e in generale le contraddizioni della globalizzazione nell’ultimo trentennio, a cui la Russia si è ribellata con l’operazione speciale in Ucraina. Dall’autenticità della fede, si passa alla prova della autenticità dell’ideologia isolazionista e autarchica, ora che le sanzioni di tutto il mondo, di cui la Russia è diventata il principale oggetto a livello internazionale, cominciano a far vacillare le certezze della propria potenza.

La fede e la ricchezza, la missione religiosa e la costruzione di una nuova civiltà, queste sono e saranno a lungo le dimensioni della vita del popolo russo, durante e dopo questa e altre guerre “di liberazione”. Il 4 aprile dal Cremlino è stato annunciato l’inizio del quinto concorso per i dirigenti del Paese, chiamato “I leader della Russia”, che deriva dal progetto tanto caro a Putin della “Russia – Paese delle possibilità”, la risposta escatologica all’ideale americano della Land of Opportunity, la costruzione del Paradiso sulla terra. Fu l’allora presidente Medvedev che nel 2010 intervenne all’università di Stanford, dichiarando che la Russia intendeva “diventare il Paese delle nuove possibilità”.

L’omelia patriarcale con l’appello agli oligarchi a dedicarsi alle “opere di bene” è un sostegno esplicito a queste intenzioni e a questi progetti, che costituiscono la vera motivazione della contrapposizione della Russia con l’Occidente e il suo “potere schiavistico globale”. L’invidia e il rancore contro il “miliardo dorato” degli anglosassoni e degli europei, contro i sette miliardi del resto della popolazione mondiale, spinge i russi a ritenersi portatori di un messaggio di “benessere del popolo” ancora più della Cina comunista, vista comunque come un modello schiavistico orientale: la Russia vuole insegnare ad arricchirsi nella libertà. Da qui i tanti progetti sulla “Primavera studentesca”, la “Verità nei nuovi media”, uno degli aspetti più sensibili della nuova concezione del potere, con i “Leader della Russia” da scegliere anche a livello regionale, in tutte le assise parlamentari, accademiche e sociali.

Naturalmente la ricerca della nuova istina si scontra con la solita solfa della pravda, che nasconde gli insuccessi economici e sociali con i proclami ideologici, come ai tempi della collettivizzazione e della pianificazione sovietica. E si nasconde anche l’insuccesso di una guerra tragica in Ucraina, dove da due mesi si proclama la conquista di Bakhmut, quando è evidente che nessuna vittoria può sorridere ai “leader del Cremlino” e del patriarcato, neanche cercando di resistere eroicamente nei meandri delle Grotte di Kiev. L’Ucraina, l’Europa, l’America e il mondo intero devono accettare la sfida della verità lanciata dalla Russia, ricordando sempre l’insegnamento del Vangelo: “chi vuol essere il primo tra voi, sarà lo schiavo di tutti”.

 

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