Lo scontro fra femministe e islamisti specchio della crisi del mosaico libanese
di Fady Noun

Contestato l’uso del costume da bagno per le donne, su una spiaggia pubblica a Saïda. Una nuova battaglia nel mondo musulmano radicale in nome della “decenza” nell’abbigliamento. Il fronte laico ricorda i principi della Costituzione e “libertà” individuali inviolabili.


Beirut (AsiaNews) - Il fronte femminista libanese ha ingaggiato una nuova battaglia che ha per oggetto il costume da bagno sulle spiagge pubbliche, specchio ulteriore di una lotta all’interno del mondo musulmano su vestiario e costumi che va dall’hijab in Iran ai vestiti “multi-colore” in Arabia Saudita. Decine di attiviste e attivisti hanno manifestato il 21 maggio scorso a Saïda (40 km a sud di Beirut), cittadina a maggioranza sunnita, per difendere l’uso del costume da bagno sulla spiaggia pubblica. Il gruppo è stato attaccato da radicali islamici, uomini e donne, accorsi in gran numero sul lungomare per difendere quelli che considerano i “buoni costumi”. La presenza sul posto delle forze di sicurezza interna e della polizia municipale ha impedito all’incidente di degenerare in scontro aperto. 

La manifestazione femminista è una risposta all’aggressione avvenuta sulla spiaggia pubblica di Saïda, la scorsa settimana, ai danni di una donna in costume da bagno seduta in riva al mare in compagnia del marito. I facinorosi hanno scagliato contro la coppia bottiglie di acqua riempite con la sabbia, costringendoli infine ad abbandonare in tutta fretta il luogo per scongiurare un’escalation. 

La vicenda ha indotto il presidente della municipalità Mohammad Saoudi a vietare una manifestazione prevista per il 20 maggio a sostegno del diritto dei cittadini di beneficiare liberamente - e senza vincoli - dell’arenile e una contro-protesta di gruppi radicali. Questi ultimi volevano scendere in piazza per rivendicare la lotta “a favore del pudore, della virtù e contro la nudità”. Tuttavia, le tensioni e gli scontri evitati il sabato si sono riproposti puntualmente il giorno successivo quando decine di persone, in maggioranza donne, hanno violato le disposizioni e si sono radunati davanti alla spiaggia con cartelli e slogan “a difesa delle libertà”. 

Fra fede (islamica) e libertà

A fronte degli scontri e delle diversità di vedute, resta sullo sfondo una questione aperta e ben più ampia riguardante i costumi e le libertà, in Libano come in gran parte del mondo musulmano. Ora all’ingresso della località balneare campeggiano pannelli che richiedono di mantenere una “tenuta decente” per l’accesso. Al contempo vi sono anche altre direttive, come il divieto di introdurre e consumare bevande alcoliche come avviene tradizionalmente in moltissime spiagge occidentali dove si sorseggiano cocktail al suono della musica. Ciononostante, tornando alla questione libanese come è possibile individuare e definire una nozione così vaga come quella della “decenza” in spiaggia, in una società plurale in cui le scale di valori si contraddicono? “Una donna - afferma la femminista Joséphine Zgheib durante una conferenza stampa indetta sul lungomare - ha semplicemente voluto esercitare il diritto di recarsi in spiaggia con l’abito che più le si addice”. Ma le donne libanesi, ha quindi aggiunto, sono vittime “di leggi ingiuste e di un sistema patriarcale, che cerca di imporre la propria tutela sui corpi e sulle vite”. 

Interpellata sulla vicenda Marie-Claude Najem, ex ministra libanese della Giustizia e docente universitaria, sottolinea che è uno dei danni collaterali della deriva “ognuno per sé”, altrimenti detta del “federalismo” che in questa fase tenta le comunità che compongono la società. A suo avviso, se i comuni sono incaricati di far rispettare l’ordine pubblico è invece compito dello Stato centrale “quello di far prevalere le libertà individuali, e ogni sforzo nei termini di conciliazione deve andare nella direzione delle libertà”. “Vi è uno Stato centrale - aggiunge - che deve farsi sentire in maniera chiara e netta”. Infine, l’ex ministro mette in guardia contro il fenomeno delle “libertà a piccole dosi”. Per quanto concerne il divieto di alcol in spiaggia, la questione è più “sfumata” e potrebbe essere giustificata “non tanto per questioni di carattere religioso, quanto per il pericolo costituito da cocci di vetro rotto per i bagnanti”. Tuttavia, conclude, resta valido l’invito a “restare vigili”.

Per la politologa Fadia Kiwan, direttrice generale dell’Organizzazione delle donne arabe, un’istituzione che opera sotto l’egida della Lega Araba, le correnti radicali islamiche non hanno il diritto di imporre le loro regole nello spazio pubblico di uno Stato democratico. Lei stessa deplora la questione e la polemica che ne è scaturita, considerandola una minaccia per le libertà sebbene consideri il Libano “sulla soglia di una stagione promettente dal punto di vista turistico”. Ciononostante, l’esperta vuole lanciare un monito contro la formazione di “ghetti” fondati sull’appartenenza comunitaria. “Senza la diversità, senza il principio dell’accettazione dell’altro, del diverso e il rispetto delle libertà democratiche, che sono sempre state i suoi punti di forza, il Libano - aggiunge - perde la sua ragion d’essere”.

Sharia e Costituzione

Altra voce critica, quella del deputato Marc Daou che era presente sul posto nel momento in cui è divampata la controversia. “La Costituzione libanese - sottolinea - è chiara: essa protegge la libertà di fede e di espressione. Questi spazi pubblici sono soggetti alla Costituzione. Chiediamo a tutti di seguire le convinzioni personali, senza per questo imporre la propria visione agli altri”. “Voi avete Jounieh [famoso centro balneare e turistico una ventina di km a nord di Beirut], lasciateci preservare Saïda” hanno ribattuto a gran voce alcune donne ricoperte dal velo durante la manifestazione. Tuttavia, per Daou “i libanesi hanno tutto il diritto di recarsi sulle spiagge pubbliche vestiti come meglio credono. La libertà di espressione e di credo - chiosa - è un diritto per tutti, ed è lo stesso lungo tutte le coste libanesi”.

Da parte sua, la Lega degli ulema locali ha denunciato “una campagna mediatica sospetta e sistematica che prende di mira Saïda, i suoi costumi, i suoi sceicchi e la popolazione”, smentendo al contempo le accuse di violenza commesse da capi religiosi e loro sostenitori verso i bagnanti. Per lo sceicco salafita Houssam al-Ilani, citato dalla stampa, la questione ha travalicato i confini della controversia “sui costumi da bagno, arrivando a sfidare dio”. “Non accettiamo - ha ribattuto, chiudendo la porta a ogni mediazione o dialogo - la presenza di persone che sfidano e provocano la città bevendo alcol e denudandosi sulle nostre spiagge” violando così i principi della sharia.

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