Dietro il traffico di decine di bambini e ragazzini la setta Süleymancılar che, secondo alcune denunce, avrebbe beneficiato delle coperture di governo e Akp. Almeno sei giovani dalle aree remote della foresta sono finiti a Manaus, poi trasportati oltreoceano nelle sedi turche dell’associazione. Gli abusi di minori cresciuti del 700% sotto il “sultano” Erdogan.
Milano (AsiaNews) - Un filo diretto collega l’Amazzonia alla Turchia. Un traffico di minori, che vengono sottratti alle famiglie - spesso indigenti e incapaci di mantenerli o di offrire loro prospettive di crescita - per portarli oltreoceano nell’ex impero ottomano dove, col pretesto dell’istruzione, vengono educati e convertiti all'islam. Sulla vicenda la polizia ha avviato una inchiesta tuttora in corso, confermata da fonti di AsiaNews a Manaus che invitano alla “prudenza” e chiedono di “omettere per il momento il nome delle persone coinvolte” in attesa della magistratura e di risvolti penali. Nel mirino degli inquirenti l’associazione Süleymancılar, legata all’islam turco e attiva in diversi Paesi, con una visione radicale della fede contraria alla laicità dello Stato e che vuole permeare - e influenzare - la vita delle famiglie secondo i precetti musulmani.
A sollevare il velo su una pratica che si protrae da tempo è stata una approfondita inchiesta del sito di informazione della diaspora turca Artı Gerçek, una voce critica del governo di Ankara e del presidente Recep Tayyip Erdogan, fondato nel 2017 da giornalisti in esilio. Un sito che ha come principio ispiratore quello di “pubblicare notizie” che in patria sarebbero “vittime della censura” e “dare voce a gruppi, religioni, minoranze” relegate ai margini, o perseguitate, nel Paese del “sultano”. Una vicenda controversa e delicata, perché coinvolge “minori oggetto di abusi, traffico e violazioni” come conferma la nostra fonte, e che è alimentata da una entità filo-islamica che in passato è già stata oggetto di denunce, ma ha potuto contare sulla copertura dei vertici della Turchia.
Adescati e convertiti
Un cittadino turco da tempo in Amazzonia, che dal giugno 2021 beneficia del permesso di soggiorno rilasciato da Brasilia, avrebbe adescato per conto della setta Süleymancılar decine di bambini di famiglie povere delle tribù della foresta. L’area di riferimento è quella al confine con la Colombia, ma la sede operativa è Manaus, la capitale dello Stato dell’Amazzonia, dove vengono convogliati i bambini prelevati con un “consenso” firmato dalla famiglia per ricevere i primi dettami del loro “nuovo modello educativo”. Di questi, almeno sei dopo un triennio in Brasile sono stati trasferiti in Turchia e ospitati in centri di proprietà della setta o a essa collegati a Kütahya, Tarso o Istanbul (dove in passato si sarebbero consumati abusi su minori) per proseguire “l’iter scolastico” ed essere infine convertiti all’islam.
Il trafficante turco avrebbe agito tramite una società da lui fondata, la Amazon Humanitarian Aid Solidarity Association che, con la scusa dell’aiuto e del sostegno allo sviluppo, avrebbe instaurato legami con le famiglie e carpito la loro fiducia, facendosi affidare i figli. Un passaggio favorito anche dal desidero, o dalla speranza, dei genitori di garantire un futuro migliore ai bambini, strappandoli alla vita in foresta verso un percorso educativo, la possibilità di frequentare scuole e di raggiungere un grado di istruzione più elevato, altrimenti precluso. Dopo aver trascorso qualche tempo a Manaus, ai bambini viene cambiato il nome ricevendone uno “turco e musulmano” come Muhammad, Hüseyin, Ahmet. Anche l’istruzione è di impronta turca, araba e islamica e coinvolge i giovani ospiti di età fra i 5 e i 17 anni. Per qualcuno - in questo caso fra i 15 e i 17 anni - il passaggio finale, con il trasferimento in Turchia grazie a un “visto per l’istruzione” emesso dalla stessa ambasciata di Ankara in Brasile.
Trafficati in Turchia
Una volta arrivati in Turchia, degli indios brasiliani si perdono le tracce fra le città che ospitano sedi o affiliate di Süleymancılar. Dall’inchiesta emerge che i giovani dall’Amazzonia sono stati portati nel dormitorio maschile di Mekân Ortadoğu a Tarso, il cui responsabile del centro non ha voluto fornire le generalità e ha attaccato i giornalisti autori dell’inchiesta. “Perché - ha affermato, con un richiamo alla religione - inseguite bambini che hanno intrapreso la via del profeta Allah? Fatevi gli affari vostri…”. Egli ha quindi aggiunto che “sono venuti in Turchia per motivi di istruzione, anche le loro famiglie hanno dato il permesso […] non sono più nel centro e non so dove siano”. Di fronte alla prospettiva di accuse di traffico internazionale di minori sottratti con l’inganno alle loro famiglie (il reato su cui indaga la polizia brasiliana), egli ha tagliato corto dicendo che sono stati trasferiti in un’associazione di solidarietà islamica chiamata Mena a Istanbul.
Fra quanti hanno innalzato un muro di silenzio e omertà vi è anche la stessa ambasciata turca in Brasile, che non vuole commentare la vicenda e non risponde alle domande dei cronisti, sia turchi che carioca. Come spiega la giornalista brasiliana Thalys Alcantara, citata da Artı Gerçek, i bambini appartengono a popoli dell’Amazzonia la cui cultura e il cui stile di vita “sono protetti dalla legge brasiliana” nel quadro di una politica di conservazione delle tribù e delle aree indigene. “I giovani - spiega - provengono da una città [che la nostra fonte chiede di mantenere segreta, ndr] nello Stato dell’Amazzonia, situata nel mezzo della foresta pluviale” da cui sono stati prelevati nel 2019 dietro “firma di documenti da parte dei genitori che non hanno alcuna validità legale”. Le famiglie “sono povere e sognano un futuro migliore”, i bambini “hanno poche opportunità per imparare a leggere e superare la povertà”. I gruppi islamici, confermano le fonti di AsiaNews, hanno colto l’indigenza delle popolazioni diventate “bersaglio” per il traffico di minori, rapiti e convertiti a forza. Sorte migliore è toccata a 20 di questi bambini, scovati dalla polizia e restituiti alle famiglie.
Suleymancilar e gli abusi sessuali
Al centro di questo traffico internazionale vi è l’associazione Süleymancılar, da anni protagonista di vicende opache con abusi e violazioni, anche di minori. Nel novembre 2020 una famiglia di Istanbul ha presentato denuncia contro gli organizzatori di un corso sul Corano, dopo che il figlio ha visto con i propri occhi violenze sessuali nella struttura e nei dormitori. Gli organizzatori appartenevano alla controversa setta, non nuova a simili eventi, e alle rimostranze dei genitori uno dei responsabili ha detto che quanto successo “non era un gran problema”, comunque non tale “da meritare una denuncia e creare scandalo”. All’epoca il legale della famiglia aveva sottolineato che per l’organizzazione in questione, il caso di violenza è “solo la punta di un iceberg” fatto di abusi, stupri e sfruttamento col beneplacito dello Stato.
Una emergenza confermata dai numeri: le violenze sui minori sono aumentate del 700% sotto i governi Akp (Partito della Giustizia e dello sviluppo) del presidente Erdogan e, in molti casi, le inchieste si sono concluse con l’impunità degli autori. Solo nel 2018 erano emersi quasi una decina di casi nei dormitori della Süleymancılar, peraltro nota per i suoi legami con le più alte sfere dell’esecutivo. Il Paese è 38mo al mondo per stupri (15,6 ogni 100mila abitanti) e 45mo per femminicidi (0,88 su 100mila). Nel 2018 la Turchia era terza al mondo per abusi su minori, quasi 500mila ragazzine sotto i 18 anni si sono sposate col “permesso” dello Stato; in gravidanze condotte tra il 2007 e il 2017 da ragazzine di 17 anni e anche meno, oltre 2400 bambini sono nati morti. Hdp e Chp hanno presentato decine di interrogazioni parlamentari per la prevenzione di abusi sessuali e violenze, tutte puntualmente rigettate dall’Akp. Oggi si celebra la Giornata mondiale Onu del rifugiato: “L’auspicio - conclude la fonte di AsiaNews - è che lo sfruttamento sia stroncato sul nascere per il bene di questi minori, che vengono attirati con una falsa promessa che è anche il motivo alla base di questo commercio. Infine, quanto successo è anche un monito per la Chiesa brasiliana e globale, perché possa aiutare a prendere sempre più coscienza della pastorale dei minori e contribuire alla prevenzione di possibili violenze”.
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