Invecchiamento e drastica diminuzione degli impieghi, con introiti minimi, rappresentano un grave ostacolo alla sopravvivenza della "prima generazione" che dalla metà degli anni Ottanta costruì le grandi metropoli. Un rapporto evidenzia la mancanza di assistenza sociale e situazioni di abbandono. Pechino censura le denunce e oscura le critiche sui social.
Pechino (AsiaNews) - Dopo aver sperimentato l’urbanizzazione e la riforma economica, la prima generazione di lavoratori migranti cinesi provenienti dalle campagne si trova ad affrontare il problema della pensione. In mancanza di sicurezza sociale e di welfare, in molti hanno pensioni basse e lontane dalla sopravvivenza. Secondo un rapporto, censurato dai social network cinesi, circa il 60% dei lavoratori migranti continuerà a lavorare finché non sarà troppo vecchio per farlo.
Sembra che i lavoratori migranti siano stati abbandonati, considerati ormai troppo anziani per lavorare in città dopo 30 anni e oltre di carriera. La ricerca condotta da Qiu Fengxian, professore associato presso l’Università Normale di Anhui, dimostra che lavorare duramente non ha migliorato la condizione dei migranti. Dopo aver distribuito 2500 questionari e intervistato 200 persone, il rapporto ha concluso che il 60,7% dei rispondenti continuerà a lavorare sino a che non sarà troppo vecchio e senza forze per continuare a farlo. E, in media, avranno una pensione di soli 100-200 yuan (12,6-25,2 euro) mensili.
Il rapporto ha anche mostrato che più della metà dei lavoratori migranti ha meno di 50mila yuan (6309 euro) nei conti correnti bancari, dopo aver lavorato in città per più di 15 anni. E il 15,2% di loro non ha alcun risparmio. Di solito inviano i loro salari nella città natale per l’istruzione dei figli, ma meno del 20% della generazione successiva è riuscita a compiere lo “scatto sociale” ritrovandosi in una classe superiore a quella dei genitori. Al contrario, la maggior parte dei figli abbandona presto la scuola e meno del 20% viene ammesso all’università. Il 63,5% della seconda generazione continua a essere un lavoratore migrante. Solo il 5,1% lavora nel settore pubblico e governativo, considerati impieghi prestigiosi e stabili in Cina. Inoltre, il matrimonio per la generazione successiva rappresenta una spesa enorme, anche di diversi anni di stipendio.
Dopo la Rivoluzione culturale, le persone che vivevano nelle campagne sono state autorizzate a cercare lavoro nelle città. La prima generazione di lavoratori migranti, nati prima degli anni ‘70, ha iniziato a riversarsi nelle metropoli e nei grandi centri urbani a partire dalla metà degli anni ’80. Secondo le ultime statistiche ufficiali, la Cina conta 295 milioni di lavoratori migranti dei quali circa 86 milioni appartenenti alla prima generazione e ormai sulla soglia - se non oltre - dell’età pensionabile. Al contempo, l’età media dei lavoratori migranti continua ad aumentare, avendo raggiunto i 42,3 anni nel 2022.
In questo rapporto, il professor Qiu ha concluso che la prima generazione di lavoratori migranti presenta una “fragilità sociale” e che le loro condizioni di vita e il loro futuro non sono determinati dal loro agire individuale. La maggior parte dei lavoratori svolge o ha svolto mansioni usuranti, inquinanti e rischiosi con retribuzioni basse. Il 40% lavora nei cantieri edili. Il 18,9% lavora nelle fabbriche. Altri sono camerieri nei ristoranti, addetti alle pulizie e guardie di sicurezza.
I problemi di salute e gli infortuni sul lavoro diventano evidenti con l’avanzare dell’età, ma per la preoccupazione di perdere il lavoro e per l’alto costo dei servizi medici, i migranti di solito scelgono di non andare in ospedale. Sebbene attualmente le autorità forniscano servizi medici di base nelle aree rurali, i lavoratori migranti devono recarsi all’ospedale della propria città, con conseguenti costi aggiuntivi di trasporto. Ben il 63,4% dei lavoratori migranti non è mai stato in un ospedale della città in cui lavora e il 58,5% sceglie di sopportare malattie e infortuni senza ricorrere a cure mediche e ospedaliere anche in caso di bisogno.
Durante i decenni di boom economico, i lavoratori migranti sono di fatto il gruppo dimenticato, anche perché le politiche di registrazione delle famiglie, ovvero il sistema Hukou, limitano la libertà di mobilità delle persone. Da ciò deriva che gli abitanti delle campagne non hanno gli stessi diritti dei residenti delle città, come emerge anche dalle statistiche sui salari il cui tasso di crescita nei lavoratori migranti è di molto inferiore a quello dei lavoratori delle aree urbane.
I lavoratori migranti hanno contribuito all’urbanizzazione della Cina quale principale risorsa di lavoro, ma sono vittime di politiche irragionevoli. Per decenni a Pechino e Shanghai, solo alcuni settori in cui le aziende avevano difficoltà a reclutare lavoratori locali hanno potuto assumere lavoratori migranti, oggetto di pesanti restrizioni anche in occasione della fase di massiccia disoccupazione registrata alla fine degli anni ‘90. Nel 2017, migliaia di persone sono state sfrattate dalle loro case in pieno inverno, senza preavviso, in nome del “licenziamento di capitale non funzionale ed essenziale”, suscitando ira diffusa.
Sebbene i lavoratori migranti vogliano continuare a lavorare, con l’avanzare dell’età si riducono le posizioni disponibili. Ristoranti e alberghi preferiscono personale più giovane. Le autorità di molte città hanno vietato ai maschi sopra i 60 anni e alle femmine sopra i 50 di lavorare nei cantieri edili, per motivi di sicurezza. La crisi dell’industria immobiliare ha costretto un numero maggiore di lavoratori migranti a lasciare il settore. Nel rapporto emerge che alcuni lavoratori migranti hanno acquistato carte di identità false, con data di nascita ringiovanita, rischiando in questo modo di finire anche in prigione.
Vi è poi da considerare l’impatto della pandemia di Covid-19 e la stagnazione dell’economia, che hanno causato una massiccia disoccupazione. Il rallentamento dell’urbanizzazione comporta infine una drastica diminuzione di posti di lavoro disponibili, come testimoniato nelle statistiche ufficiali dalla diminuzione della mobilità dei lavoratori, che preferiscono cercare impiego in loco. Nel 2022 quanti cercano lavoro al di fuori della propria città natale sono aumentati di un misero 0,1%. Il rapporto continua a essere rilanciato e discusso sui social, mentre le autorità governative rispondono con la scure della censura, ma questo non impedisce certo di cancellare, come un colpo di spugna, la mole enorme di problemi e tensioni sociali che caratterizzano il Paese del dragone.
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