582 latitanti arrestati in 6 mesi, sospetti sulle 'stazioni cinesi di polizia all'estero'

Poche estradizioni, molti rientri in patria "spontanei" per arrendersi. In molti casi si tratta di funzionari pubblici accusati di corruzione. Intanto a Hong Kong non si ferma la pressione sulle famiglie degli 8 attivisti pro-democrazia "ricercati" dopo essersi rifugiati all'estero: fermata per un interrogatorio persino una parlamentare pro-Pechino imparentata con uno di loro.


Pechino (AsiaNews/Agenzie) - Nei primi sei mesi la polizia cinese ha arrestato in tutto il Paese 582 latitanti. A sbandierare il dato è un rapporto dell’Ufficio centrale per la ricerca dei fuggitivi, che sostiene di aver anche recuperato con successo beni rubati per un valore stimato di circa 1.932 miliardi di yuan, oltre 240 miliardi di euro.

Il rapporto cita in particolare come un grande successo l’arresto il 10 giugno scorso di Guo Jiefang, una settantenne ex responsabile del dipartimento del traffico dell'Ufficio di Pubblica Sicurezza di Guangzhou, fuggita all'estero nel marzo 2000 dopo essere stata accusata di aver accettato tangenti insieme ad altre persone. Guo Jiefang era tra i 100 più pericolosi latitanti segnalati dalla Repubblica popolare cinese all’Interpol ed è “spontaneamente” tornata in Cina per arrendersi.

Proprio questo tipo di modalità solleva più di un dubbio tra i difensori dei diritti umani, che ricollegano questi risultati con il tipo di azioni messe in atto dalle decine di contestate “stazioni di polizia segrete” aperte dalla Cina in territorio straniero, venuta alla ribalta per alcune inchieste giornalistiche degli ultimi mesi. Secondo alcuni precedenti dati ufficiali dello stesso tipo pubblicati in settembre dal Quotidiano del Popolo sui latitanti arrestati attraverso l’operazione “Skynet” negli ultimi 5 anni solo 45 sarebbero stati estradati dall’estero, mentre 328 sono stati molto più semplicemente “rimpatriati”. Una definizione che lascia aperte molte domande sulle attività condotte all’estero dalla polizia cinese.

Nel frattempo anche a Hong Kong non si arresta la pressione sugli 8 attivisti del movimento pro-democrazia espatriati in Gran Bretagna, Stati Uniti e Australia per ragioni politiche e contro cui da qualche settimana sono stati emessi mandati di cattura ai sensi della Legge sulla sicurezza nazionale. Dopo il caso della famiglia di Nathan Law, prelevata all’alba dalla propria casa per un interrogatorio qualche giorno fa, ora è toccato anche ai figli di Elmer Yuen, 74enne imprenditore e attivista che vive negli Stati Uniti. Oltre alla figlia Mimi Mi Wahng Yuen e a suo fratello Derek la polizia di Hong Kong stamattina ha interrogato persino la moglie di quest’ultimo, Eunice Yung, che pure è membro del Consiglio legislativo in rappresentanza di un partito pro-Pechino e l’anno scorso aveva preso pubblicamente le distanze dal suocero. L’accusa è quella di aver aiutato persone ricercate dalla polizia “a continuare a commettere atti e a impegnarsi in attività che mettono in pericolo la sicurezza nazionale”.

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