Uiguri: Pechino sigilla i villaggi e cerca di censurare le conferenze all’Onu

I diplomatici cinesi hanno cercato di bloccare una conferenza in programma ieri a margine dell’assemblea generale delle Nazioni Unite. Pechino afferma di chiudere i centri di internamento, in realtà trasferisce le persone nelle carceri regolari. 


New York (AsiaNews) - Sabotare incontri e missioni di organizzazioni internazionali che hanno l’obiettivo di accertare la verità dei fatti (denunciando abusi o violazioni) o di verificare sul campo la situazione, a dispetto dei proclami ufficiali. La repressione cinese nello Xinjiang verso la minoranza musulmana uiguri si è inasprita nell’ultimo periodo, fino a spingersi in questi giorni a cercare di boicottare un forum promosso a margine dell’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, in programma ieri. 

Nel fine settimana, infatti, diplomatici cinesi hanno tentato di imbavagliare l’incontro, inviando una lettera alle missioni internazionali all’Onu in cui si “esortava” - in realtà la missiva aveva un carattere minatoria - a non presenziare. Un tentativo di boicottaggio e una palese interferenza del governo di Pechino, peraltro rispedita al mittente dagli ambasciatori e da gruppi attivisti che hanno affollato l’evento. 

Fra gli ultimi esempi di violenze ai danni della minoranza musulmana uiguri emersi durante la discussione, la decisione del governo cinese di spostare sempre più persone dai campi di internamento presenti nello Xinjiang al sistema penale regolare. Pur affermando, al contempo, di star chiudendo gli stessi campi al centro della controversia. 

Per Beth Van Schaack, attuale ambasciatrice Usa per la giustizia penale globale, la lettera della rappresentanza di Pechino [menzionata attraverso l’acronimo Prc del partito comunista] all’Onu è “un altro esempio della campagna di repressione transnazionale” sugli uiguri. Durante l’incontro Sophie Richardson, direttrice della sezione cinese di Human Rights Watch (Hrw), ha mostrato una copia della lettera pubblicata in esclusiva nei giorni scorsi dal National Review, stigmatizzandone il contenuto e la “forte raccomandazione” contenuta all’interno. Un governo che agisce in questo modo, ha aggiunto, “non ha alcun diritto di far parte del Consiglio Onu per i diritti umani” e conferma che “ha molto da nascondere”.

Gady Epstein, giornalista dell’Economist e moderatore del forum, ha osservato come i giornali abbiano dimenticato la questione Xinjiang, rilanciando al contrario i proclami cinesi sulla chiusura dei campi di internamento. Agnès Callamard, segretario generale di Amnesty International, conferma che “sul campo la situazione non è cambiata nella sostanza” e, di fatto, gli esponenti della minoranza musulmana non dispongono di libertà di movimento, di religione o di cultura, mentre le notizie di chiusure dei centri sono “false”. Vi è poi il significativo aumento di procedimenti giudiziari verso gli uiguri, compreso il “trasferimento di detenuti dai cosiddetti centri di rieducazione o di formazione professionale a carceri penali più formali”. E degli oltre 15mila residenti dello Xinjiang di cui si conoscono le sentenze, più del 95% dei condannati - spesso con accuse molto vaghe, come separatismo o messa in pericolo della sicurezza dello Stato - hanno ricevuto pene da cinque a 20 anni, e in alcuni casi anche il carcere a vita. 

L’ultimo esempio di violazione giunge dal villaggio di Chuluqai, prefettura autonoma di Ili Kazakh, nella contea di Ghulja, circa 650 km a ovest di Urumqi, capitale dello Xinjinag, completamente sigillato dalle autorità con il pretesto di “mantenere la pace e la sicurezza”. I suoi 13500 abitanti sono sottoposti a vigilanza continua, vi sono restrizioni ai movimenti ed è possibile accedere o uscire dal villaggio attraverso una “porta” per mezzi e persone, controllata dalla polizia e circondata da una rete elettrificata. Una pratica e disposizioni simili sono già state adottate in altri centri, a conferma di un clima di repressione degli uiguri e di violazione dei diritti che contrasta con la versione ufficiale cinese.

Un poliziotto dell’area, contattato da Radio Free Asia (Rfa), afferma che all’ingresso viene controllata l’identità delle persone, la loro provenienza e se hanno familiari arrestati. La campagna “un villaggio, un cancello” viene attuata “in ogni contea” ha aggiunto la fonte, citando le comunicazioni ufficiali di cui è venuto a conoscenza tramite la radio. La guardia ha detto di aver osservato personalmente una situazione simile nei villaggi Ghulja di Ewlia, Üchon e Mollatoxtiyuzi. La costruzione di muri intorno alle comunità nella regione dello Xinjiang - comunemente definita dai funzionari come “costruzione di nuovi villaggi” o “trasformazione dell'aspetto dei quartieri” - è progettata per limitare la libertà di movimento dei residenti.

Le violazioni commesse da Pechino contro gli uiguri nello Xinjiang sono una questione irrisolta; nel recente passato, lo stesso Consiglio Onu per i diritti umani ha smentito un rapporto interno che denunciava gli abusi e respinto l’apertura di un dibattito. Buona parte delle nazioni che hanno bocciato la mozione sono esse stesse a larga maggioranza musulmana, ma da tempo subiscono la campagna di lobbying promossa dal dragone. Tra gli abusi ricondotti a Pechino aver rinchiuso quasi due milioni di cittadini – soprattutto uiguri – in veri e propri lager, obbligandoli al lavoro forzato. I cinesi negano le accuse, affermando che quelli nello Xinjiang sono centri di avviamento professionale e progetti per la riduzione della povertà, lotta a terrorismo e separatismo.

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