Il presidente Arroyo commuta 1200 condanne a morte nell'ergastolo

L'annuncio, dato a Pasqua, spiegato con motivi "di fede". Favorevole la Chiesa cattolica, che insiste per l'abolizione della pena capitale. Proteste tra le famiglie delle vittime.


Manila (AsiaNews/Agenzie) – A Pasqua il presidente Gloria Macapagal Arroyo ha annunciato che le circa 1.200 condanne a morte irrogate nelle Filippine sono convertite nel carcere a vita. Vivi consensi nella Chiesa cattolica e dagli attivisti contro la pena di morte, mentre c'è il timore che alcuni familiari delle vittime possano cercare vendetta contro i colpevoli graziati.

La decisione "è maturata - ha detto Ignacio Bunye, portavoce della Arroyo - dalla contemplazione e dalla meditazione sui valori cristiani". "Comprendiamo il profondo dolore delle famiglie delle vittime degli infami delitti – ha aggiunto - ma il Presidente è convinto che sia bene per la Nazione imparare a perdonare senza rinunciare alla giustizia penale".

Alcuni familiari delle vittime – racconta Dante Jimenez, leader del gruppo Volontari contro il crimine e la corruzione – hanno detto che vogliono trovare il modo per "uccidere in prigione i colpevoli di questi odiosi crimini contro i loro cari".

Nel Paese ci sono 1.200 condannati a morte, tra cui almeno 11 terroristi collegati ad al-Qaeda, per 100 dei quali – dice padre Roberto Olaguer, cappellano carcerario – la sentenza può essere eseguita subito, sebbene non ci siano state esecuzioni dal 2.000. Molti sono stati condannati per rapimento, omicidio e traffico di droga.

Favorevole alla decisione presidenziale è la Chiesa cattolica, che insiste per l'abrogazione della pena capitale, decisione che spetta al Congresso.

"La nostra preghiera – ha detto mons. Angel Lagdameo, presidente della Conferenza episcopale delle Filippine – è che non sia solo un atto umanitario del Presidente, ma che il Congresso abolisca con una legge la pena capitale". I vescovi da tempo sostengono che la pena di morte non è deterrente contro i crimini, che possono venire combattuti diminuendo "la corruzione, l'immoralità e la povertà" diffuse.

"Dobbiamo trovare altre vie per difendere la società – ribadisce mons. Pedro Arrigo, presidente della Commissione episcopale per la cura pastorale nelle prigioni – senza dover ricorrere alla pena di morte, che porta solo fuori quanto di peggio c'è in noi". Come cristiani "siamo convinti – ha aggiunto – che ai rei debba essere data la possibilità di pentirsi, cambiare vita, attitudini e fare ammenda per le proprie azioni". (PB)