Guerre, ordine mondiale, sinodalità: gli amici di Putin e la ‘multipolarità giusta’
di Stefano Caprio

Il presidente ha tenuto un nuovo discorso programmatico alla plenaria del XX Club Valdaj, una delle sedi “ideologiche”. Agli “intellettuali” l’invito a costruire un “mondo nuovo”. L’evocazione dell’asse con Cina, mondo arabo e India contro l’Occidente, il cui sostegno all’Ucraina si fa incerto. La “sinodalità” (sobornost) che riassume le giustificazioni putiniane del conflitto. 


Il presidente russo Vladimir Putin ha tenuto un nuovo discorso programmatico alla sessione plenaria del XX Club Valdaj, una delle principali sedi “ideologiche” del regime, visto che dibattiti pubblici e interviste-fiume sono rimaste un ricordo pre-Covid e operazione speciale. In occasioni speciali al massimo si celebrano i trionfi allo stadio, in cui lo zar si concede in forma ridotta e spesso artificiale, tramite avatar o apparizioni scenografiche poco credibili. A Soči, cittadina sul mar Nero dove da sempre riposano i gerarchi russi e dove Putin ha celebrato l’ultimo tentativo “pacifico” di dominare il mondo alle Olimpiadi invernali del 2014, è stata riproposta la retorica della “guerra santa”, alla luce soprattutto delle incertezze mondiali sul sostegno alla resistenza ucraina lette dai russi come il vero segnale di vittoria.

Il titolo della “discussione internazionale” del Valdaj di quest’anno recitava l’ideale della “Multipolarità giusta: come assicurare la sicurezza e lo sviluppo per tutti”, l’impegno della Russia a costruire un mondo nuovo. Putin ha esortato i presenti ad assumersi questa responsabilità epocale: “in questa svolta il ruolo di gente come voi, cari colleghi intellettuali, è di straordinaria importanza”. In 20 anni, da quando si tiene questo alto consesso di “intellettuali”, si sono verificati “cambiamenti colossali” e il tempo “è come se si fosse condensato”: non sono due decenni, ma secoli o millenni. Alla prima riunione la Russia si era appena rimessa in piedi dopo la tragedia del crollo dell’Urss, ed era pronta “a inserirsi con tutte le forze nel processo di costruzione di un ordine mondiale più giusto”. Tuttavia, questa disponibilità è stata intesa da molti come “sottomissione a coloro che pensavano di essere i padroni”, i cosiddetti “vincitori della guerra fredda”.

Putin ricorda che “all’inizio del secolo tutti pensavano che la comunità internazionale avesse imparato la lezione delle conseguenze rovinose del confronto ideologico del secolo passato”, ma in realtà non era così, perché “gli Usa e i suoi satelliti ha preso la direzione dell’egemonia”. Per fortuna del mondo intero, ha proseguito, “la Russia ha capito fin dall’inizio che questo tentativo era destinato all’insuccesso”. La rivendicazione del primato dell’anti-globalismo e del sovranismo è frequente nelle dichiarazioni del presidente e assume particolare rilievo alla luce delle evoluzioni politiche in corso in tanti Paesi; soprattutto in vista delle elezioni europee ed americane del prossimo anno, a fronte della nuova proclamazione dell’eternità dello zar prevista nella data “sacra” del 18 marzo, memoria dell’annessione della Crimea.

Il mondo infatti “è troppo complesso e multiforme per poterlo rinchiudere in uno schema unico, anche se dietro di esso sta l’enorme potenza dell’Occidente, accumulata in secoli di politica coloniale”. Già l’anno scorso Putin aveva lamentato a Soči il rifiuto della Nato ad accogliere la Russia, a causa della “prevalenza degli interessi geopolitici dominati dalla superbia”, la vera causa della “cosiddetta guerra in Ucraina” (anche Putin usa sistematicamente la parola “guerra”), che invece i russi “vogliono soltanto concludere”, dopo aver difeso per anni la popolazione e soprattutto “i bambini del Donbass”, che oggi vengono “salvati” con la deportazione in Russia. Si tratta in realtà di un conflitto ben più ampio della questione territoriale ed “è in gioco il sistema di principi su cui si basa l’intero ordine mondiale”.

In questo contesto i politici occidentali sono “ossessionati dalla Russia”, ma allo stesso tempo “applicano anche alla Cina l’immagine del nemico”, insieme a diversi Paesi arabi, e “ci è passata anche l’India”, chiamando al suo fianco le grandi potenze “amiche” che resistono all’aggressione. È una “lotta per la civiltà”, prosegue Putin, e non a caso la Russia si è definita nei documenti ufficiali degli ultimi anni, a partire dalla nuova Costituzione, “un Paese che rappresenta in sé stesso [samobytnoe] una civiltà”. Questo, a suo parere, sta diventando un modello per tante nazioni del mondo, che aspirano a diventare “Stati-civiltà”. Non si tratta di mettere la propria identità al di sopra degli altri, perché “tutti hanno gli stessi diritti, esprimendo le dimensioni della propria cultura e tradizione” che non va imposta agli altri, pena il caos globale da cui tutti dobbiamo difenderci.

La Russia rimane “il Paese più esteso del mondo, il mondo russo ha un carattere globale”, ribadisce il leader del Cremlino, “solo in America latina vivono 300 mila nostri connazionali, la lingua russa è parlata dappertutto”. Le incertezze occidentali nel sostegno armato all’Ucraina non hanno soltanto un “carattere tecnico”, viste le difficoltà di bilancio negli Usa e in Europa, perché “a furia di spendere in armi si riducono le protezioni sociali”, ma sono legate alla comune sensibilità di tante persone che condividono le ansie per il futuro. Per i russi sono molti gli “amici” anche nei Paesi “non amichevoli”, che intendono “difendere i valori tradizionali, soprattutto quelli della famiglia”.

Non è casuale che il discorso di Putin s’intrecci col dibattito interno al mondo cattolico, nei giorni dell’apertura del “Sinodo sul sinodo”, che dovrà affrontare proprio tante tematiche sulla revisione dei “valori tradizionali” nel mondo di oggi. La “sinodalità” corrisponde in russo al termine sobornost, che riassume in una parola tutte le giustificazioni putiniane del conflitto in Ucraina e nel mondo: è la “comunione delle civiltà” cha dovrebbe caratterizzare il nuovo ordine mondiale, scaturito dalla vittoria dell’identità russa garante di ogni identità di popolo, cultura e religione. Parlando agli studenti ortodossi di teologia il patriarca Kirill ha raccomandato di “assumere la guida della ricerca nelle direzioni cruciali e nella dinamica della ricerca intellettuale, rimanendo saldi sulla roccia della verità evangelica e della dottrina dei Santi Padri”.

Non si tratta di semplice tradizionalismo reazionario, come potrebbe apparire applicando schemi ideologici del passato. Nella visione dei “valori tradizionali” non vi è nostalgia del passato, ma una ipoteca sul futuro: i valori non devono necessariamente essere reali, ma certamente “riconoscibili” e identitari a tutte le latitudini, per opporsi a concezioni liberali insopportabili per chi vuole difendere se stesso dagli oscuri “padroni del mondo”. La famiglia è un caposaldo di questa visione “difensiva”, da intendere come legame primario generico più che come istituzione sociale o religiosa: si affermano i “nostri” spazi per tenere alla larga tutti gli altri, stranieri e immigrati, gruppi di vario orientamento sessuale e ideologico, minoranze da difendere a scapito della maggioranza del popolo. La Russia di Putin conta in questo su un vasto sostegno “amichevole” non solo in Paesi lontani geograficamente e culturalmente, ma soprattutto tra le popolazioni vicine dell’Europa e delle terre di antica evangelizzazione cristiana.

Putin ha ribadito che “noi abbiamo tanti amici in Occidente, anche se spesso non è consentito loro di parlare”. Quindi non si tratta di diffondere forme di propaganda filo-russa o cercare di condizionare la vita politica di altri Paesi (attività comunque molto “tradizionali” per i russi), ma di far emergere un’identità collettiva, sobornaja, capace di reagire alle imposizioni più o meno occulte dei centri di potere controllati da pochi. Un approccio ribadito anche riguardo al Nagorno-Karabakh, dove Mosca è accusata di aver tradito gli armeni che avrebbe dovuto proteggere.

Le dichiarazioni in questo senso del presidente del Consiglio d’Europa, Charles Michel, sono state rispedite al mittente da Putin con una delle sue tipiche espressioni “di strada”: “qualunque sia la vacca che muggisce, la tua è meglio che taccia”. Il Cremlino aveva proposto a suo tempo un compromesso agli armeni, chiedendo loro di accontentarsi di alcuni territori nella zona contesa, lasciando il resto agli azeri, ma “non hanno voluto fidarsi”. La soluzione finale poi presa da Baku, con l’occupazione totale della regione, era solo “questione di tempo”. Il presidente russo non vede quindi ragione di accanirsi contro l’Azerbaigian, che cerca solo di “ristabilire l’ordine costituzionale” e difendere la propria integrità territoriale, ma d’altra parte “noi continuiamo ad essere alleati disponibili per l’Armenia”. Qualunque siano le ragioni di contese, sconfitte e vittorie sul campo, qualunque siano le culture, le tradizioni e le religioni dei popoli che si accalcano e si confrontano a tutte le latitudini, quello che importa è che siano tutti amici della Russia.

 

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