Si è conclusa ieri nella capitale indiana la conferenza #we4resilience, una due giorni per capire come affrontare i disastri provocati dai cambiamenti climatici. All’evento - tenutosi proprio mentre si apre a Dubai la COP28 - hanno partecipato decine di cooperanti, sacerdoti e beneficiari dei progetti attuati dalla Caritas insieme ad altri partner. L’attenzione è stata posta su un approccio globale che tenga in considerazione le esperienze delle comunità vulnerabili.
New Delhi (AsiaNews) - Si è conclusa ieri a New Delhi una conferenza di due giorni organizzata da Caritas India sulla resilienza climatica, a cui hanno preso parte diversi rappresentanti delle realtà della società civile che lavorano con l’organizzazione cattolica per fare in modo che le comunità vulnerabili e marginalizzate siano preparate ad affrontare disastri ambientali e stravolgimenti di vario tipo, come l’aumento di epidemie e l’insicurezza alimentare.
In India - e in diverse altre parti dell’Asia, dove negli ultimi anni gli eventi estremi sono aumentati in termini di frequenza e intensità - è forte la consapevolezza che sia troppo tardi per agire solo sulle cause del cambiamento climatico; per questo appare sempre più essenziale cercare di mitigare le conseguenze provocate da vari tipi di calamità e catastrofi. Spesso, però, “l’Asia produce le linee guida, mentre le risorse e i mezzi per realizzarle sono in Occidente”, ha commentato ad AsiaNews Babita Pinto, a capo dei programmi di Caritas India.
La conferenza #we4resilience - tenutasi il 29 e 30 novembre presso la United Service Institution of India di New Delhi, proprio mentre a Dubai stava iniziando la COP28, l'annuale conferenza internazionale sulla lotta ai cambiamenti climatici - è stata organizzata grazie al sostegno delle Caritas di Germania e Australia, e di Misereor, l’organizzazione dei vescovi cattolici tedeschi per la cooperazione allo sviluppo, anche se i donatori sono diversi anche in base all’interesse nei vari tipi di progetti. Come molte altre organizzazioni cattoliche o gestite dalle minoranze religiose, anche la Caritas, nonostante i buoni rapporti costruiti negli anni con il governo indiano, potrebbe non vedersi rinnovata la licenza che permette di ricevere fondi dall’estero, nota con la sigla FCRA. Ragione per cui il braccio sociale della Conferenza episcopale cattolica dell’India ha cominciato ad adottare un approccio sempre più orientato sul piano locale anche per quanto riguarda la raccolta fondi.
Decine di operatori, sacerdoti, esperti di cooperazione e sviluppo, rappresentanti del governo e beneficiari dei progetti hanno preso parte all’evento. Dopo la preghiera e i saluti di apertura, il primo giorno di lavori è proseguito con una sessione tecnica sulle “azioni coordinate per costruire la resilienza”, in cui diversi relatori hanno sottolineato la necessità di cooperazione tra coloro che si occupano di resilienza climatica e le comunità interessate, spesso gruppi di agricoltori, donne e popolazioni indigene. Ranjini Mukeherjee, esperta delle Nazioni unite sulla riduzione dei rischi, ha ricordato che solo negli ultimi tre anni sono stati spesi 200 miliardi di dollari per la risposta alle calamità, un elemento che si aggiunge al “clima di generale incertezza in cui viviamo”: “L’unica cosa certa dei nostri tempi è l’incertezza”, ha detto l’esperta.
Jaison Varghese, a capo della strategia globale di Caritas, ha spiegato l’approccio dell’organizzazione alla costruzione della resilienza, mentre alcuni beneficiari dei progetti provenienti dagli Stati indiani del Bihar e dell’Assam, hanno condiviso le loro testimonianze per quanto riguarda l’impatto positivo che i progetti di Caritas hanno avuto sulla vita delle loro comunità di contadini in un caso e di donne indigene nell’altro.
Le sessioni successive si sono concentrate sull’adattamento ai cambiamenti climatici (con una particolare attenzione alle migrazioni di lavoratori stagionali dovute agli stravolgimenti del clima), l’insicurezza alimentare (in cui ha trovato spazio anche la presentazione di approcci congiunti tra il pubblico e il privato grazie alla presenza di rappresentanti della nota azienda indiana Tata), e la collaborazione tra i vari attori della società civile.
Alcuni dei progetti sostenuti da Caritas India sono stati presentati in un’esposizione allestita al piano inferiore della sede dove ha avuto luogo la conferenza. I partecipanti hanno così potuto scoprire, per esempio, il programma Sanjivani, che cerca di favorire la coltivazione di sementi autoctone tra le famiglie di agricoltori del Gujarat affinché adulti e bambini possano avere accesso a una dieta salutare e differenziata a basso costo. Altri stand mostravano invece come è avvenuta la costruzione di villaggi su palafitte nelle aree dell’India più soggette a inondazioni, in modo che le comunità possano essere al sicuro e proteggere dall’acqua anche le proprie fonti di reddito (bestiame, sementi e altri materiali di produzione).
Come hanno sottolineato più relatori durante le sessioni, la necessità di un approccio globale deriva dal fatto che le comunità affette da cataclismi e cambiamenti climatici non analizzano i loro problemi in settori, a differenza della cooperazione allo sviluppo, che spesso agisce su singoli temi: al contrario, le fasce della popolazione vulnerabili, depositarie di conoscenze che spesso si rivelano fondamentali per la costruzione della resilienza, subiscono l’impatto di diversi fattori allo stesso tempo, ma mancano delle risorse (nella maggior parte dei casi economiche) per affrontare le sfide poste dal clima.
Quello della resilienza climatica è però solo uno dei settori di cui si occupa Caritas India, ha spiegato ad AsiaNews p. Jolly Puthenpura, direttore esecutivo aggiunto, che ha aperto i lavori della conferenza e portato i saluti dell’arcivescovo di Delhi, Sebastian Kallupura. L’organizzazione cattolica lavora in particolar modo anche nel settore della risposta d’emergenza, essendo in grado di mobilitare aiuti in qualunque zona del Paese in poche ore grazie alla diffusione capillare di decine di uffici in tutto il territorio indiano. Il sacerdote ha inoltre ricordato che “circa l’85%-90% dei beneficiari dei progetti Caritas sono non-cattolici”. Ma non è importante: “Noi parliamo la lingua del cuore”, ha detto p. Jolly, 54 anni, originario dello Stato meridionale del Kerala. “Anche papa Francesco ha più volte sottolineato con l’enciclica ‘Laudato si’’ e l’esortazione apostolica ‘Laudate Deum’ l’importanza che dobbiamo porre all’ambiente. Per noi si tratta di una questione di umanità, questo è il principio secondo cui cerchiamo di guidare le nostre azioni qui alla Caritas”.
“INDIAN MANDALA" È LA NEWSLETTER DI ASIANEWS DEDICATA ALL'INDIA
VUOI RICEVERLA OGNI VENERDI’ SULLA TUA MAIL? ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER A QUESTO LINK