L'illusione della pace in Cecenia
di Vladimir Rozanskij

Grozny si propone come modello alle regioni del Caucaso e degli Uralia attraversate da conflitti crescenti. Ma quello attuato dopo il conflitto di vent'anni fa è un regime monolitico dove non è ammissibile alcuna forma di dissenso a Kadyrov.


Mosca (AsiaNews) - Di fronte a crescenti conflitti interetnici nelle zone caucasiche e uraliche, come in Daghestan e Baškortostan, il ministro per le nazionalità della Cecenia, Akhmed Dudaev, ha decantato l’esempio della repubblica guidata da Ramzan Kadyrov, che “in vent’anni non ha visto neanche un caso di conflitti tra le nazionalità”, suscitando reazioni piuttosto varie negli osservatori interni ed esteri, come riferisce Kavkaz.Realii.

La repubblica di Groznyj difficilmente può essere considerata un modello per le altre regioni della Federazione Russa, essendo di fatto un Paese mononazionale e monoconfessionale, uno dei più gelosi nel difendere la propria specificità anche negli anni della Russia sovietica. Secondo il censimento del 2021, il 96% degli abitanti sono ceceni, con poco più dell1% di russi, e meno del 3% per tutte le altre etnie. I ceceni sono poco meno di un milione e mezzo, le altre nazionalità superano di poco i 50 mila. A livello religioso la statistica è ancora più semplice, con il 99% di musulmani.

Un esperto di relazioni interetniche nel Caucaso settentrionale, Maksim U. (che ha preferito mantenere l’anonimato), ricorda che l’esito delle due guerre cecene negli anni Novanta e Duemila “ha trasformato la Cecenia in una repubblica monolitica, annientando la presenza di altre nazionalità, e la situazione attuale di pacifica stagnazione è in realtà il frutto del regime autoritario instaurato dopo gli sconvolgimenti bellici, è strettamente legato al sistema putiniano”. Proprio le guerre cecene, infatti, furono il motivo della chiamata al potere di Vladimir Putin in qualità di “uomo d’ordine”.

A questa valutazione si associa il professore di politologia all’università Carolina di Praga Emil Aslan, per cui “in Cecenia non sono ammissibili conflitti etnici o religiosi, ma basterebbero accenni a interpretazioni scorrette dell’Islam (dal punto di vista delle autorità civili) per accendere la miccia”. E comunque anche l’affermazione dell’assenza ventennale di conflitti non corrisponde del tutto alla realtà, fa notare l’esperto.

Si ricorda anche dopo la fine dei conflitti, nel 2005, uno scontro di massa tra gli abitanti dei paesi di Moskhob in Daghestan e di Novoselskaja in Cecenia, con decine di feriti, tra ceceni e avari che all’inizio si contendevano le spiagge per fare il bagno nel fiume, per poi passare alle maniere forti anche con uso di armi. Pochi mesi prima, un gruppo di poliziotti motociclisti degli Spetsnaz avevano effettuato una “pulizia etnica locale” nella provincia di Borozdino, giustificandola come “avanzi della guerra”, uno dei motivi con cui la Cecenia dei Kadyrov, padre e figlio, ha spiegato varie forme di repressione.

Si ricorda anche il conflitto tra Cecenia e Inguscezia (le due parti della Ičkeria indipendente, annientata dalla Russia di Putin) nel 2012, che portò alla definizione di una frontiera ufficiale tra le due repubbliche, che prima non esisteva. Anche in questo caso i ceceni avevano giustificato un’azione nel villaggio di Galaški, con tre morti, per “soffocare i ribelli”, circostanza negata dall’allora capo dell’Inguscezia, Junusbek Evkurov. L’accordo sui confini è stato firmato definitivamente solo nel 2018, accompagnato da molte proteste da parte degli ingusci, anche con manifestazioni di piazza soffocate con la forza.

Le ultime condanne per proteste a Essentukhi in Inguscezia sono di soli tre anni fa, nel dicembre 2021, e i leader sono stati condannati per “formazione di associazione estremistica”, il ritornello degli ultimi anni putiniani. Ci sono stati scontri negli ultimi anni anche per i confini con il Daghestan, repubblica a propria volta legata storicamente alla Cecenia per legami etnici “ripuliti” solo di recente. Kadyrov ha promesso di “spezzare le dita” a coloro che scrivono sulle reti social accuse ai ceceni per le frontiere, e il capo del parlamento di Groznyj, Magomed Daudov, ha assicurato che per questo problema “siamo pronti anche alla dichiarazione di guerra, è la nostra terra e non la dividiamo con nessuno”.

Discutendo nel 2021 con il regista Aleksandr Sokurov, lo stesso Vladimir Putin ammise che “in Russia ci sono duemila pretese territoriali reciproche”, in parte ereditate dai tempi sovietici, in parte alimentate successivamente come nel Caucaso, da sempre una delle maggiori polveriere, che potrebbero far esplodere l’intera Federazione.

 

Foto: Flickr / Clay Gilliland

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